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Roberto Vannacci e la Posizione sulla Non Necessità del Definirsi Antifascista

In POLITICA
Maggio 02, 2024

In una recente apparizione pubblica a Napoli, durante la presentazione del suo libro al teatro “In Arte Vesuvio”, il generale Roberto Vannacci, noto per le sue posizioni spesso decise e peculiari, ha sollevato un punto di vista che ha riacceso il dibattito nei circoli politici e tra l’opinione pubblica. Candidato della Lega alle elezioni Europee, Vannacci ha dichiarato apertamente di non sentirsi in dovere di adottare l’etichetta di antifascista, un’asserzione che non passa inosservata nel contesto politico italiano attuale.

Vannacci sostiene che il fascismo, come fenomeno politico e storico, concluse la sua esistenza circa un secolo fa e, pertanto, opporvisi nell’attualità non ha un immediato senso pratico. “Non mi sono mai definito antifascista perché non ritengo utile definirmi tale,” ha affermato il generale, aggiungendo che “non è richiesto da nessuna norma della Costituzione, da nessuna legge”. Queste parole non solo delineano la sua personale visione politica ma sollecitano una riflessione più ampia sull’impiego e sul significato dei termini storico-politici nella contemporaneità.

Il parallelo che Vannacci trae con la figura di Napoleone Bonaparte è provocatorio: secondo lui, così come non si pratica l’antinapoleonismo due secoli dopo la caduta dell’Imperatore francese, allo stesso modo non dovrebbe essere necessaria una dichiarazione di antifascismo a un secolo di distanza dalla fine del regime. “Ritengo strumentale dirsi antifascista rispetto a un periodo storico finito cento anni fa”, sostiene fermamente.

Questo punto di vista non è privo di controversie, specialmente in un paese come l’Italia, dove il retaggio del fascismo e le sue ferite storiche ancora pulsano in molti aspetti della vita pubblica e culturale. Critici e storici potrebbero obiettare che il fascismo, al di là del suo contesto storico specifico, rappresenti un archetipo di autoritarismo che può riaffiorare sotto nuove spoglie. Pertanto, definirsi “antifascista” potrebbe non riferirsi unicamente al contesto storico italiano del ventesimo secolo, ma più ampiamente a un’impegno contro forme autoritarie e totalitarie di governo e di pensiero politico.

Inoltre, l’evocazione della Costituzione italiana da parte di Vannacci apre un ulteriore fronte di discussione. Sebbene è vero che la legge fondamentale non prescriva espressamente l’antifascismo come posizione obbligatoria, essa nasce da un contesto di reazione al fascismo e consacra principi di democrazia e libertà che implicitamente respingono l’ideologia fascista.

L’interpretazione di Vannacci, sebbene ancorata a una lettura letterale e legale, potrebbe non tener conto completamente delle implicazioni più profonde e simboliche che l’antifascismo continua a rappresentare in Italia e nel mondo. Il dibattito, dunque, rimane aperto e più vivace che mai, invitando a una riflessione continua su come la storia influenzi la politica del presente e quali etichette e termini siano ancora rilevanti per definire le nostre posizioni politiche e civili nell’era contemporanea.

In conclusione, le dichiarazioni di Vannacci non soltanto contribuiscono a una discussione attuale ma ripropongono interrogativi fondamentali sulla responsabilità storica, la memoria collettiva e l’identità politica in un’epoca di rapidi cambiamenti e sfide globali.