
In un periodo di grande trasformazione per il panorama mediatico, i telegiornali Rai stanno affrontando una crisi senza precedenti in termini di ascolti. Dati riportati recano storie di un’esodo massivo degli spettatori: quasi 600 mila persone nel corso del 2023 hanno smesso di seguire le edizioni dei principali telegiornali della televisione pubblica italiana.
Il Tg1, che ha per anni dominato la scena informativa televisiva italiana, è tra i più colpiti da questo calo, con una perdita di 336 mila spettatori e uno 0,5% in meno in termini di share per quanto riguarda l’edizione delle 20, sebbene mantenga la leadership per ascolti (24,7%). Il Tg2 non è esente dalla crisi, con una diminuzione di 160 mila ascoltatori e mezzo punto percentuale in share, attestandosi al 5,8%.
Queste cifre, oltre a delineare un trend preoccupante per la Rai, hanno acceso una vivace polemica politica. Il capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra, Peppe De Cristofaro, componente della commissione di Vigilanza Rai, ha sollevato dubbi sulla gestione attuale del servizio pubblico, collegando il calo degli ascolti a una presunta lottizzazione politica. De Cristofaro ha evidenziato la promozione di 50 giornalisti, metà dei quali legati a Unirai, il sindacato vicino alla linea della destra al potere.
Le promozioni, avvenute in un clima di generale insoddisfazione degli utenti, hanno suscitato indignazione in alcuni settori che vedono in questa mossa non un tentativo di miglioramento della programmazione o di risposta al calo di ascolti, ma piuttosto un consolidamento di potere politico all’interno della struttura Rai. Secondo il capogruppo De Cristofaro, sarebbe in gioco la qualità dell’informazione e il pluralismo del servizio pubblico, con l’accusa che prevale la ricerca di una narrazione complacente nei confronti del governo Meloni.
La questione solleva interrogativi fondamentali sul futuro del servizio pubblico e sul suo ruolo in una democrazia. La Rai, che è stata per decenni un punto di riferimento per la qualità e l’affidabilità dell’informazione, si trova ora al centro di un dibattito che va ben oltre i numeri degli ascolti e tocca i temi della libertà di stampa, dell’equilibrio politico e dell’imparzialità informativa.
Mentre la Rai deve affrontare inevitabili sfide dell’era digitale e di un panorama mediatico sempre più frammentato, la questione delle recenti promozioni può interpretarsi come un sintomo di un disagio più profondo. Ora, più che mai, emerge la richiesta di un confronto aperto e di soluzioni efficaci per ristabilire la fiducia del pubblico nel servizio informativo nazionale, nell’interesse della cittadinanza e della democrazia.