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Il naufragio del “Patto per la città” e l’agonia di Avellino

In ATTUALITA', AVELLINO, CAMPANIA, OPINIONE
Giugno 29, 2025
Il naufragio del “Patto per la città” non è solo il fallimento di una sindaca, ma lo specchio di un intero sistema politico locale incapace di rigenerarsi.

Avellino non sta semplicemente vivendo una crisi: sta affondando, lentamente ma inesorabilmente, in un pantano di immobilismo, opacità e disillusione. E il cosiddetto “Patto per la città” lanciato in extremis dalla sindaca Laura Nargi è l’emblema perfetto di questo disastro: non un’ancora di salvezza, ma l’ultima, disperata mossa per salvare le apparenze mentre il palazzo crolla.  Questa crisi non è un fulmine a ciel sereno. È il risultato inevitabile di anni di ambiguità, di alleanze di convenienza, di un potere gestito come proprietà personale. L’amministrazione Nargi, figlia diretta dell’era Festa, non ha solo raccolto un’eredità di consensi: ha ereditato un metodo divisivo, personalistico, incapace di pensare al futuro. Un metodo tutto centrato sulla gestione dell’oggi e mai sul disegno del domani.  La bocciatura del rendiconto di gestione da parte del Consiglio comunale è stata solo la scintilla che ha fatto deflagrare una crisi ormai irreversibile. Sette assessori dimissionari, un bilancio paralizzato, una diffida ufficiale della Prefettura che minaccia commissariamento: il Comune è al collasso.  Eppure, mentre le fondamenta crollano, c’è ancora chi finge di poter rimettere insieme i cocci. L’appello della sindaca a un “Patto per la città” sembra più un esercizio di retorica che un progetto serio. Ha invitato tutte le forze civiche e politiche a partecipare a una ricostruzione morale e amministrativa. Ma la risposta è stata netta, quasi brutale: un no che suona come un atto di sfiducia definitivo.  Non per cinismo. Non per indifferenza verso la città. Ma perché nessuno crede più alla possibilità di ricostruire su macerie fatte di promesse tradite e alleanze di comodo. Chi ha sostenuto Festa e Nargi ora si dissocia, chi si è opposto dall’inizio non intende farsi complice di un rientro dalla finestra di chi ha fallito. Nessuno vuole più legittimare un’amministrazione rimasta senza numeri, senza alleati, senza credibilità.  E il tempo stringe. La diffida della Prefettura impone un ultimatum: venti giorni per approvare il bilancio o sarà scioglimento. Non è solo una formalità. È l’onore stesso della città a essere in gioco. Un capoluogo che si scopre incapace di governarsi, prigioniero di personalismi, logiche di potere effimere e di una politica che ha tradito la fiducia della sua gente.   Il commissariamento sembra ormai inevitabile. Ma la rassegnazione non deve esserlo. Anzi: questo fallimento clamoroso può — deve — diventare l’occasione per chiudere definitivamente la stagione del “sistema Festa” e aprirne una nuova, fondata su trasparenza, competenza, visione.

Ma non accadrà da solo. Serviranno coraggio e discontinuità vera. E servirà soprattutto una partecipazione autentica e larga. Occorre che la città vera — quella fuori dai palazzi, dalle stanze del potere — si riprenda la parola.

E qui il richiamo è diretto e urgente: agli uomini di cultura, ai giovani che vogliono restare e investire sul futuro di Avellino, ai politici irpini di grande spessore che finora sono rimasti a guardare o in silenzio. È il momento di rompere gli indugi. Di mettere a disposizione competenze, idee, passione civile.

Avellino ha già perso troppo tempo. Il naufragio del “Patto per la città” non è solo il fallimento di una sindaca, ma lo specchio di un intero sistema politico locale incapace di rigenerarsi. Ripartire davvero significa abbandonare i giochi di potere e costruire finalmente un progetto civico vero, partecipato, credibile. Perché un altro giro a vuoto — questa volta — la città non può più permetterselo.

di Marco Iandolo

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Marco Iandolo