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L’Europa tra Atlantico e nuove rotte: la sfida in un mondo multipolare.

In ATTUALITA', OPINIONE
Settembre 11, 2025
L'editoriale del direttore

Per decenni abbiamo pensato che l’alleanza con gli Stati Uniti fosse un pilastro intoccabile. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa e l’America hanno camminato insieme, tra NATO, commercio e valori democratici condivisi. Ma oggi quello scenario appartiene al passato. Non è solo colpa di Donald Trump: lui è il volto di una tendenza più profonda. Gli Stati Uniti guardano sempre meno a noi e sempre più all’Asia, mentre l’Atlantico smette di essere il centro del mondo. Trump ha cambiato il linguaggio e i rapporti. Non parla di “amicizia”, ma di transazioni, di dazi. Per lui l’Europa è tre cose insieme: diversa, debole, e a volte persino nemica. Ci accusa di vivere sotto l’ombrello militare americano senza pagarne il costo, di proteggere troppo le nostre industrie con regole e burocrazia, di fare affari con la Cina senza pensare alle conseguenze. La guerra in Ucraina ha reso evidente la nostra fragilità: senza le armi americane, Kiev sarebbe già crollata. Allo stesso tempo, abbiamo sostituito il gas russo con quello statunitense, a prezzi più alti. E ci ritroviamo dipendenti, ancora una volta. Appena ieri è stato invocato dalla Polonia l’articolo 4 della Nato che prevede una riunione di emergenza tra gli stati membri dopo l’invasione dello spazio aereo da parte di droni russi nella notte tra il 9 e il 10 settembre. E ci dobbiamo augurare di non dover invocare l’articolo 5 della Nato, perchè il mondo non aspetta mentre l’Europa appare impreparata. La Cina stringe accordi con Mosca, l’India cresce come potenza economica e militare, i paesi arabi tornano al centro grazie all’energia, il Brasile guida il Sud globale. L’Europa invece sembra ferma, divisa, schiacciata tra le pressioni americane e le minacce russe. Senza considerare le turbolenze francesi di questi giorni e le pressioni contro il Governo italiano dei partiti di sinistra aderenti alla posizione espressa da Greta Thumberg a capo della flottiglia diretta verso Gaza che definisce “ecocidio” l’azione degli israeliani contro i palestinesi. E poi c’è l’Africa, che bussa alle nostre porte con flussi migratori senza precedenti. Non si tratta solo di emergenza umanitaria: è la dimostrazione che senza una politica comune, estera e interna, rischiamo di non avere risposte né sul piano sociale né su quello geopolitico. Se non vogliamo ridurci a un ruolo marginale, servono scelte chiare: Investire nella difesa comune: non possiamo più dipendere da Washington per la nostra sicurezza. Diversificare l’energia: accelerare su rinnovabili e accordi diretti con Africa e Medio Oriente. Aprirci al mondo: rafforzare i legami con India, America Latina e nuove potenze emergenti. Gestire i flussi migratori con una vera politica europea, non lasciando soli i paesi di frontiera. Guidare la rivoluzione digitale con regole su big tech che possano diventare un modello globale. L’Europa deve accettare che i “bei tempi” dell’atlantismo non torneranno. Non siamo più fratelli maggiori e minori, ma partner che trattano caso per caso. È un cambiamento doloroso, ma anche una possibilità: quella di smettere di vivere di rendita sul passato e iniziare a costruire un futuro autonomo.

di Giuseppe Di Giacomo