
Per decenni abbiamo pensato che l’alleanza con gli Stati Uniti fosse un pilastro intoccabile. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa e l’America hanno camminato insieme, tra NATO, commercio e valori democratici condivisi. Ma oggi quello scenario appartiene al passato. Non è solo colpa di Donald Trump: lui è il volto di una tendenza più profonda. Gli Stati Uniti guardano sempre meno a noi e sempre più all’Asia, mentre l’Atlantico smette di essere il centro del mondo. Trump ha cambiato il linguaggio e i rapporti. Non parla di “amicizia”, ma di transazioni, di dazi. Per lui l’Europa è tre cose insieme: diversa, debole, e a volte persino nemica. Ci accusa di vivere sotto l’ombrello militare americano senza pagarne il costo, di proteggere troppo le nostre industrie con regole e burocrazia, di fare affari con la Cina senza pensare alle conseguenze. La guerra in Ucraina ha reso evidente la nostra fragilità: senza le armi americane, Kiev sarebbe già crollata. Allo stesso tempo, abbiamo sostituito il gas russo con quello statunitense, a prezzi più alti. E ci ritroviamo dipendenti, ancora una volta. Appena ieri è stato invocato dalla Polonia l’articolo 4 della Nato che prevede una riunione di emergenza tra gli stati membri dopo l’invasione dello spazio aereo da parte di droni russi nella notte tra il 9 e il 10 settembre. E ci dobbiamo augurare di non dover invocare l’articolo 5 della Nato, perchè il mondo non aspetta mentre l’Europa appare impreparata. La Cina stringe accordi con Mosca, l’India cresce come potenza economica e militare, i paesi arabi tornano al centro grazie all’energia, il Brasile guida il Sud globale. L’Europa invece sembra ferma, divisa, schiacciata tra le pressioni americane e le minacce russe. Senza considerare le turbolenze francesi di questi giorni e le pressioni contro il Governo italiano dei partiti di sinistra aderenti alla posizione espressa da Greta Thumberg a capo della flottiglia diretta verso Gaza che definisce “ecocidio” l’azione degli israeliani contro i palestinesi. E poi c’è l’Africa, che bussa alle nostre porte con flussi migratori senza precedenti. Non si tratta solo di emergenza umanitaria: è la dimostrazione che senza una politica comune, estera e interna, rischiamo di non avere risposte né sul piano sociale né su quello geopolitico. Se non vogliamo ridurci a un ruolo marginale, servono scelte chiare: Investire nella difesa comune: non possiamo più dipendere da Washington per la nostra sicurezza. Diversificare l’energia: accelerare su rinnovabili e accordi diretti con Africa e Medio Oriente. Aprirci al mondo: rafforzare i legami con India, America Latina e nuove potenze emergenti. Gestire i flussi migratori con una vera politica europea, non lasciando soli i paesi di frontiera. Guidare la rivoluzione digitale con regole su big tech che possano diventare un modello globale. L’Europa deve accettare che i “bei tempi” dell’atlantismo non torneranno. Non siamo più fratelli maggiori e minori, ma partner che trattano caso per caso. È un cambiamento doloroso, ma anche una possibilità: quella di smettere di vivere di rendita sul passato e iniziare a costruire un futuro autonomo.
di Giuseppe Di Giacomo


