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Purché se ne parli… non lasciate stare in pace i Ferragnez!

In ATTUALITA', IN EVIDENZA
Marzo 07, 2024
E’ necessario riscoprire la bellezza del farsi gli affari propri. Schadenfreude e clickbait hanno trovato terreno fertile nel caso dei Ferragnez: la “gioia maligna” è stato un motore potente per la diffusione di notizie, e il “clickbait”, d'altra parte, è una tattica editoriale che utilizza titoli e situazioni accattivanti per attirare click e visualizzazioni.

“There is only one thing in the world worse than being talked about, and this is not being talked about” (“C’è solo una cosa al mondo peggiore del fatto che si parli di te, ed è che non se ne parli affatto”, ndr).

Questa celebre citazione di Oscar Wilde, tratta dal suo The picture of Dorian Gray del 1890, serve a far riflettere il lettore (di allora e di oggi) sull’importanza del chiacchiericcio, un fenomeno universale e controverso che da sempre può redimere l’anima di qualsiasi peccatore o sporcare quella più linda e splendente. 

La società contemporanea, quella dell’abbreviazione, ha riassunto l’intero concetto nel banale purché se ne parli, massima ipersfruttata come vera e propria strategia di marketing, utile e perfetta per giustificare o minimizzare un errore, o per provocare una reazione da parte del pubblico, nel bene o nel male. In soldoni (in tutti i sensi), per “vendere” qualcosa, dunque per monetizzare.

La storia strappalacrime dei Ferragnez, dalla truffa che il mondo intero ha frainteso alla presunta separazione alla vigilia della Milano Fashion Week, ormai è nota anche al regno vegetale. Ma perché oggi, quasi tre mesi dopo lo scandalo, continuano a uscire quotidianamente decine e decine di articoli, servizi, copertine e inserti di inchiesta su di loro? Perché il rating di questi pezzi è altissimo e ce li vediamo spuntare ovunque?

La persistenza di articoli che li riguardano può essere attribuita a diversi fattori. Scontato affermare che la “colpa” sia da attribuire al loro status di influencer, perché il punto è un altro: le reazioni del pubblico e l’analisi dei loro sentimenti sui social media possono influenzare la copertura mediatica, con un interesse che si autoalimenta tra articoli e reazioni del pubblico. Interessi, ovviamente, che si trasformano in soldi, con un business che genera migliaia (forse milioni) di euro. Titoli sensazionalistici e contenuti provocatori tendono ad attirare l’attenzione e a generare traffico; inoltre, la discussione su temi controversi, mantiene viva la conversazione e l’interesse del pubblico, portando a una maggiore visibilità e diffusione degli articoli.

Perché tutto questo? Perché soffriamo di schadenfreude, un termine tedesco che si traduce letteralmente in “gioia maligna” o “soddisfazione cinica” e che si riferisce al piacere che una persona può provare a seguito delle sfortune altrui.

Il fenomeno è antico come la storia: gli antichi greci andavano a teatro a vedere le tragedie perché queste rappresentavano la drammaticità più cruda. Gli spettatori, dunque, assistevano a queste storie per vivere una sorta di catarsi, un processo di purificazione emotiva che passava attraverso la pietà e il terrore, che permetteva loro di affrontare e comprendere meglio le proprie emozioni e quelle degli altri. La tragedia, quindi, offriva agli spettatori un’opportunità per riflettere sulla condizione umana e sulle proprie esperienze di vita, piuttosto che un’occasione per provare piacere a scapito degli altri.

I fattori psicologici e sociali che oggi ci provocano schadenfreude sono tanti, e non troppo diversi da quelli dell’età classica: il confronto sociale, la tendenza a giudicare, la paura del giudizio altrui, giusto per fare qualche esempio. Sebbene questi sentimenti sorgano in modo naturale, la maturità emotiva e l’empatia ci spingono a riconoscere il dolore altrui e a offrire sostegno piuttosto che godimento per le loro difficoltà. Ci offrono, insomma, un contegno.

Ma se queste persone da giudicare non le conosciamo direttamente? Se le abbiamo, in qualche modo, invidiate per la loro vita incantevole, per le loro magnifiche vacanze, per la loro casa perfetta, per i loro vestiti fantastici, per il loro benessere economico che giudichiamo immeritato? Ed ecco la ricetta perfetta: l’hating si trasforma in rating e il rating in clickbait. Ed ecco spiegato in maniera semplice perché dopo mesi continuiamo ad avere le nostre bacheche social, le homepage e le tasche piene dei Ferragnez.

Schadenfreude e clickbait hanno trovato terreno fertile nel caso dei Ferragnez: la gioia maligna è stato un motore potente per la diffusione di notizie, e il clickbait, d’altra parte, è una tattica editoriale che utilizza titoli e situazioni accattivanti per attirare click e visualizzazioni. Nel contesto della crisi dei Ferragnez, i titoli sensazionalistici e le storie esagerate hanno probabilmente contribuito a generare un grande numero di interazioni online, alimentando la curiosità e la schadenfreude del pubblico.

La soluzione, di fronte a quello che si sta rivelando l’ennesimo mercimonio, è solo una: ritrovare la bellezza del farsi gli affari propri. In un mondo sempre più connesso, dove le vite private sono spesso esposte al pubblico, la bellezza del farsi gli affari propri emerge come un principio di rispetto e dignità… per sé stessi prima ancora che per gli altri. E se proprio è necessario avercela con qualcuno per i suoi privilegi e godere delle sue sventure, basta solo aprire un bel libro… di protagonisti da odiare NON in carne ed ossa ne esistono davvero a migliaia.

di Ilenia Gullo –