
Il mondo del calcio è spesso teatro di tensioni e confronti che trascendono i limiti del campo sportivo, sfiorando talvolta tematiche sociali delicate come quelle legate al razzismo. Recentemente, una di queste controversie riguardanti il difensore della Lazio, Francesco Acerbi, e l’accusa di insulti razzisti, si è conclusa con una decisione significativa da parte del giudice sportivo Gerardo Mastrandrea.
La vicenda era esplosa in seguito all’accusa rivolta a Acerbi da Juan Jesus, calciatore che aveva denunciato di aver ricevuto offese a sfondo razziale. Un episodio che aveva scatenato reazioni e attirato l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media. Tuttavia, dopo una minuziosa analisi, il giudice sportivo ha deciso di non applicare sanzioni a Francesco Acerbi, comunicando quest’esito attraverso un verdetto dettagliato.
Nel corso del processo indetto dalla Serie A, Mastrandrea ha attentamente esaminato le prove e le testimonianze a disposizione. Il verdetto si fonda sull’assenza di prove inconfutabili: nonostante il riconoscimento da parte di Acerbi di un’offesa, l’accusa di contenuto discriminante non mi trova fondamento in elementi probatori esterni. Né registrazione audio, né clip video, né dichiarazioni di testimoni hanno corroborato la versione fornita da Juan Jesus.
Il giudice sportivo ha inoltre preso in considerazione la possibile percezione soggettiva del giocatore offeso, senza mettere in dubbio la sua buona fede, ma sottolineando come la mancanza di riscontri impedisca di raggiungere un livello di “ragionevole certezza” necessaria per stabilire un atto di discriminazione.
La decisione rende giustizia, secondo Mastrandrea, alla necessità di una chiara dimostrazione per affermare un verdetto di natura così grave. Incide profondamente sulle problematiche di giustizia sportiva che devono necessariamente confrontarsi con l’imprescindibile principio di diritto secondo cui “nessuno può essere considerato colpevole senza prove”.
La riabilitazione di Acerbi è stata accolta con sollievo dalla comunità sportiva, sempre più sensibile alle questioni di razzismo e discriminazione. D’altro canto, il caso solleva un’ulteriore riflessione sulla difficoltà di trovare prove certe in contesti dove l’accezione delle parole e il loro significato possono essere misurati solamente attraverso la lente soggettiva dell’esperienza individuale.
L’assenza di una condanna non preclude, tuttavia, la continua lotta contro ogni forma di discriminazione che le autorità sportive, insieme a squadre e tifosi, si impegnano a condurre, affinché lo sport possa rappresentare un autentico terreno di rispetto reciproco e integrazione.