
La storia recente di Acciaierie d’Italia, nota ai più come ex Ilva di Taranto, è stata una navigazione tra difficoltà operative e sfide ambientali. Recentemente, Antonio Gozzi, Presidente di Federacciai e special advisor di Confindustria per l’Autonomia strategica europea e il Piano Mattei, ha evidenziato due specifiche criticità che devono essere risolte prima che un ulteriore operatore possa considerare un impegno investitivo nell’impianto siderurgico.
Il primo grande ostacolo riguarda l’assegnazione delle quote gratuite di emissione di CO2. La potenziale modifica di questa regolamentazione rappresenta un punto di svolta per il futuro degli altiforni europei e, di conseguenza, per quelli di Taranto. Secondo Gozzi, è essenziale comprendere se sarà mantenuta la normativa che prevede, entro il 2030, la cessazione delle quote gratuite di emissione per gli altiforni. Questo cambiamento significherebbe che non sarà più sostenibile economicamente mantenere in funzione l’altoforno 5 di Taranto, il cui ammodernamento necessiterebbe un investimento di 650 milioni di euro. Iniziare lavori così onerosi nel 2028 per poi interromperli in pochi anni non avrebbe senso dal punto di vista economico, a causa della mancanza delle citate quote gratuite di CO2.
Il secondo nodo critico è rappresentato dagli impianti DRI, essenziali per la produzione di acciaio liquido mediante forni elettrici. Gozzi ha portato all’attenzione una comunicazione da parte della commissaria europea per la concorrenza, Margrethe Vestager, la quale ha proposto una svolta significativa exclusively per l’Italia: mentre inizialmente si prevedeva l’utilizzo di un massimo del 10% di idrogeno miscelato al gas negli impianti DRI, ora si richiede un incremento al 40% nei primi tre anni, e al 70% a partire dal quarto. Stando agli studi attuali, non esisterebbe in tutta Europa una produzione di idrogeno capace di soddisfare tale fabbisogno.
Questi due nodi riflettono le complesse intersezioni tra politiche ambientali, produzione industriale, e competitività economica nell’ambito dell’Unione Europea. Il contesto in cui si muove l’ex Ilva è emblematico delle sfide che molte industrie pesanti europee stanno affrontando nell’era delle normative ambientali più stringenti. Il dilemmA riguardo il bilanciamento tra la necessità di ridurre l’impatto ambientale e il mantenimento della competitività industriale è particolarmente acuto in Italia, dove tali decisioni influenzano non solo l’economia locale ma anche quella nazionale e, ulteriormente, quella dell’intero blocco europeo.
Con un possibile quarto interessato alle Acciaierie d’Italia, proveniente da un paese del G7, e l’attenzione di aziende provenienti dall’India e dall’Ucraina, la situazione di Taranto rimane particolarmente osservata. La risoluzione dei nodi descritti sarà, senza dubbio, determinante per formalizzare qualsiasi piano industriale e per assicurare la fattibilità a lungo termine degli investimenti nell’impianto.
La pressione è alta per trovare soluzioni che concilino innovazione, sostenibilità e crescita economica. L’incertezza sul futuro impegna decisori politici e industriali in un complesso gioco di equilibri, di cui ancora non si vede un chiaro risultato. Le vicende di Taranto potrebbero così diventare un caso studio per le policy industriali in contesti simili, fornendo lezioni fondamentali per policy makers, industriali e ambientalisti in giro per l’Europa.