Nel tessuto socioeconomico del Mezzogiorno d’Italia, dove le tradizioni si intrecciano intricatamente con la modernità, la questione della partecipazione femminile nel mondo del lavoro rimane particolarmente critica. Le statistiche sono impietose e rivelano un panorama in cui, nonostante i progressi generali nella parità di genere, rimane una marcata disparità che limita il potenziale economico e sociale della regione.
Secondo gli ultimi dati elaborati da FederTerziario su base Istat, solo il 57,8% delle donne con due figli risulta occupata rispetto al 91,6% dei loro coetanei maschi. Una cifra ancor più allarmante emerge quando si analizza il fenomeno delle dimissioni volontarie: il 72,8% delle rinunce al lavoro da parte di genitori con figli fino a tre anni proviene da donne, principalmente per esigenze legate alla cura dei figli o alla mancanza di servizi di assistenza adeguati.
Emanuela D’Aversa, responsabile dell’ufficio relazioni industriali di FederTerziario, durante l’evento “aMare il lavoro” organizzato dall’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro (Ancl), ha sottolineato l’urgente necessità di un piano nazionale che affronti queste criticità. Le soluzioni proposte sono variegate e mirano a un rafforzamento reale della posizione lavorativa femminile: incentivi all’assunzione, stabilizzazione del lavoro femminile, promozione dell’autoimprenditorialità, ampliamento dell’offerta formativa per disoccupate o inoccupate, e potenziamento del welfare di proximità con un’attenzione particolare ai servizi per l’infanzia, gli anziani e i disabili.
Un secondo fronte di analisi riguarda le disparità salariali, un argomento che continua a generare dibattito. Nel periodo compreso tra il 2014 e il 2021, le donne nel settore privato con qualifica impiegatizia hanno guadagnato mediamente 10mila euro annui in meno rispetto ai loro colleghi uomini. Anche nel pubblico, il divario si attesta su una media di 5.200 euro in meno all’anno per le donne.
Questi numeri non solo delineano uno scenario di iniquità, ma riflettono anche le lacune di un sistema che fatica a integrare pienamente il contributo femminile nell’economia. Nonostante le problematiche siano annose e complesse, la direzione da seguire pare chiara. È indispensabile un intervento strutturale che vada oltre le misure momentanee e si radichi in cambiamenti legislativi, culturali ed economici duraturi.
La proposta di estensione del congedo obbligatorio per i padri e l’aumento dell’indennità per il congedo parentale suggerisce una redistribuzione delle responsabilità familiari, che potrebbe favorire un più equo bilanciamento dei ruoli e permettere alle donne di mantenere una continuità lavorativa. Questo non solo potenzia il contributo delle donne all’economia, ma promuove una visione più inclusiva del lavoro che riconosce e valorizza equamente ogni individuo, indipendentemente dal genere.
In ultima analisi, per raggiungere una società più equa e un’economia più robusta nel Mezzogiorno, è essenziale che le politiche pubbliche e le iniziative private convergano verso un obiettivo comune: trasformare il divario di genere da barriera a trampolino, per una crescita che sia veramente inclusiva e sostenibile.