
Chissà se a qualcuno dei magistrati riuniti in assemblea nazionale a Palermo sarà capitato di porsi una domanda: ai tempi della fine della prima Repubblica il consenso che la magistratura riscuoteva nel paese poteva considerarsi plebiscitario, ma oggi, al di là di alcune dichiarazioni di solidarietà di pura facciata da parte dei DEM, gli italiani hanno fiducia nei magistrati?
La realtà è che il consenso è ai minimi storici e continua a diminuire verso una casta che non ammette il concetto di responsabilità del proprio operato, che non si può toccare per ridurre di un solo giorno le ferie annuali, e che continua a ritenersi soddisfatta non per le sentenze di condanna alla fine dell’iter processuale ma per il successo della gogna mediatica del malcapitato di giornata semplicemente indagato o addirittura solo in qualche modo coinvolto in indagini delle quali magari non è il diretto destinatario.
Parliamo di fatti accaduti. Davigo, il più Robespierre di tutti, l’uomo per il quale tutti gli italiani sono delinquenti in attesa di giudizio e che finalmente ha potuto verificare l’esattezza del suo teorema: è stato condannato a un anno e tre mesi dalla Corte di Appello di Brescia per rivelazione del segreto d’ufficio in un’oscura vicenda che ruotava intorno al manipolatore per eccellenza, il giudice Palamara.
Si sono scritti libri su Palamara e gli scenari narrati parlano di bande contrapposte di magistrati che si sfidano con tutti i mezzi leciti ed illeciti per accaparrarsi le Procure più ambite e gli incarichi di sottogoverno più remunerativi.
Proseguiamo con l’attualità; la “pasionaria” la Bocassini è indagata dalla Procura di Firenze per false informazioni al pm aggravate; reati che sono strettamente legati all’attività di magistrato e che, se confermati con sentenza, risulterebbero particolarmente ignominiosi data la sua qualifica.
Fatti e ancora fatti. I magistrati elogiano il Presidente Mattarella, e come si fa a non essere d’accordo con le sue affermazioni, ma il Presidente ha anche affermato che i magistrati non solo non debbono essere di parte, ma”nemmeno apparire tali”. Indicazioni che sistematicamente i giudici rinnegano con le quotidiane incursioni nel territorio della politica.
Non è questa la sede per un’analisi storica sulla fine della prima Repubblica, ma almeno è opportuna una considerazione.
Molti italiani non hanno dimenticato il discorso televisivo dell’allora Presidente della Repubblica Scalfaro culminato nella frase “io non ci sto”. Scalfaro non ci stava su quale terreno?, quello del ricatto?.
Purtroppo viene spontanea questa spiegazione. Sembrava che il Presidente Scalfaro volesse diffidare i magistrati a coinvolgerlo in inchieste in quanto scevro da qualunque fatto delittuoso e di ritenersi non ricattabile. Ma questo cosa significa: che i magistrati ricattavano altri personaggi politici?.
Il quadro che ne risulta è di un’Italia attraversata da una guerra tra bande con la triste considerazione che i cittadini restano smarriti di fronte ai fiumi di odio che si versano ogni giorno e finiscono col non avere più fiducia nelle istituzioni.
Non si vede all’orizzonte un cambiamento nei comportamenti di arroganza e arroccamento all’interno dei loro poteri e prerogative. I magistrati sono in guerra contro tutti, a discapito della realizzazione di una società pacifica e civile, nel rispetto dei diritti umani e di pensiero soprattutto per quelli di pensiero differente.
di Domenico Salerno