Klaus Bellavitis, compositore e pianista con una carriera internazionale, ha recentemente dato vita a un progetto unico: i “Ritratti Musicali”. In questa intervista, esploreremo il percorso che ha portato Bellavitis a creare un’esperienza musicale personalizzata, dove ogni brano diventa un riflesso dell’essenza di una persona. La sua esperienza come compositore di colonne sonore lo ha ispirato a catturare le emozioni, trasformandole in musica, ma ora l’oggetto del suo racconto è la vita reale, non la finzione cinematografica. L’intervista tocca anche temi come l’evoluzione della musica personalizzata nell’era dell’intelligenza artificiale, un ambito che Bellavitis intende preservare come autentico e artigianale, frutto dell’intuito umano e della connessione empatica. Tra musica, psicologia, e un’attenzione al “Made in Italy,” i Ritratti Musicali diventano un’esperienza unica, quasi spirituale, che offre a ogni persona una melodia dedicata, irripetibile.
Cosa ti ha ispirato a creare “RITRATTI MUSICALI”, da dove nasce l’idea di comporre un brano che riflette l’essenza di una persona?
Sicuramente all’origine di tutto c’è la mia formazione e la professione che ho esercitato per circa 10 anni, quella di compositore di colonne sonore da film. È proprio il meccanismo di interpretazione e trasposizione dell’emotività proposta dallo schermo, dalla recitazione di un attore o un’espressione del viso che ho imparato in quegli anni che mi ha portato a immaginare un “commento” musicale, sempre più in maniera spontanea, a oggi istantanea per cui, ho continuato a fare quello che facevo: trasporre l’emotività in musica. La differenza è che oggi le colonne sonore sono quelle delle vite, dell’essenza degli esseri umani e non dei film.
Qual è il processo creativo dietro un Ritratto Musicale, ci racconti come si svolge l’intervista emozionale e quali elementi ti permettono di cogliere l’anima della persona ritratta?
L’intervista emozionale viene realizzata effettuando delle domande mirate alla persona ritratta, chiedendole di descriversi in tre aggettivi, qualcosa che non le piace di sé, il suo stato emotivo, ma anche attraverso l’osservazione della sua body language, la gestualità, le espressioni. Infatti, quando effettuo un’intervista emozionale cerco di carpire i lati del carattere più profondi, più intimi, non solo ciò che appare con un primo sguardo o attraverso quanto viene raccontato a parole. Avendo un passato di mentalista, da ipnotista poiché facevo degli spettacoli di magia uniti a un concerto di jazz, ho studiato molto le tecniche di ipnosi e pertanto conosco molto bene la PNL, il linguaggio del corpo, la programmazione neurolinguistica, l’EMDR. Sono molte le tecniche che aiutano a “guardare” dentro le persone e che utilizzo, quasi in maniera intuitiva, insieme all’empatia. Quello che faccio in questo modo è raccogliere i dati emotivi e trasporli in un linguaggio musicale, artistico. Ogni tipo di accordo, ogni tipo di stereotipo musicale coglie e descrive un aspetto caratteriale. Diciamo che non è facile da raccontare, trattandosi di un linguaggio vero e proprio, si comprende meglio ascoltando e organizzandosi con un pianoforte. Per fare un esempio: la tristezza può essere raccontata con un accordo maggiore, contrariamente a quanto si possa pensare, come è possibile raccontare la felicità con dinamismo, con un accordo minore se utilizzato in modo potente, sfruttando l’elemento ritmico e la melodia.
Ti sei esibito anche negli Stati Uniti, con grande successo a Las Vegas e al Blue Note di New York. Cosa significa per te aver raggiunto questi palcoscenici internazionali?
Suonare fuori dal proprio paese è una sensazione davvero gradevolissima ed è davvero lusinghiero essere apprezzato, applaudito da un pubblico così preparato e conoscitore del jazz, genere radicato nella tradizione americana, come quello statunitense; come d’altra parte, la musica classica e la lirica fanno parte del nostro patrimonio culturale, anche se purtroppo al momento poco apprezzato per uno sguardo rivolto in direzione dei generi più giovani, rap, trap, mondi lontani dalla musica che ha fatto la nostra storia, dominata da armonia e melodia e non esclusivamente dal ritmo, centrale invece oggi.
In che modo l’esperienza di lavorare in formato Dolby Atmos contribuisce alla resa finale dei tuoi Ritratti Musicali?
Per realizzare qualcosa di bello è necessario utilizzare il top della qualità dei materiali, delle tecniche e degli strumenti musicali e Dolby Atmos rappresenta il massimo della qualità nell’ascolto. Dolby Atmos è lo standard che si utilizza da anni nel cinema e che da pochissimo è approdato anche sulle piattaforme come Spotify che premia questo utilizzo e l’esperienza che ne risulta è di massima qualità se la si confronta con quella data dall’ascolto dei brani semplicemente in alta fedeltà. Per questo noi abbiamo scelto e fortemente voluto utilizzare Dolby Atmos per i nostri Ritratti Musicali e questo, si collega a una scelta più profonda legata alla vision del progetto. Non vogliamo, infatti, utilizzare lo stato dell’arte dei sistemi, ma mantenere la massima qualità dei nostri prodotti che, nel nostro caso, si traduce anche nel Made in Italy e nell’artigianalità, dimostrando come con il “Made by humans” si possa creare qualcosa di livello altissimo e impareggiabile, liberi dall’intelligenza artificiale.
Come reagiscono le persone quando ascoltano il proprio Ritratto Musicale?
Le reazioni delle persone ritratte sono abbastanza simili, dallo stupore alla commozione. Tendenzialmente, quello che ho capito dall’esperienza nei vari eventi, concerti dal vivo nei quali ho realizzato Ritratti Musicali, è che le persone rimangono stupite, non aspettandosi che una persona “esterna” a loro, sconosciuta fino a poco prima possa descriverne la personalità, l’essenza del proprio essere. Questo stupore può poi rimanere tale o, in alcuni casi, portare a una connessione con una parte emotiva più profonda. Ho visto persone commuoversi, singhiozzare, sentire proprio la necessità di esprimere un’emozione così forte. Spesso c’è anche la necessità di avere un contatto fisico, un abbraccio con me che lo concedo molto volentieri. C’è da dire che, spesso, questa commozione la provo anch’io.
Come vedi l’evoluzione della musica personalizzata e su misura in un mondo in cui la tecnologia e l’intelligenza artificiale stanno cambiando il modo di comporre?
Questo nostro progetto per ora non è e non può essere invaso da un meccanismo di intelligenza artificiale e noi manterremo, quanto più possibile, questa distanza dall’IA, cercando di migliorarci e continuando a creare bellezza musicale su arte orafa e questo è qualcosa che, ci auguriamo, l’intelligenza artificiale non possa mai aggredire. Attualmente il progetto implica la compresenza di psicologia, anima, musica e arte orafa, tutti elementi che spero rimangano “puliti”, per l’appunto, AI free, “Made by humans”.
Grazie
di Giuseppe Di Giacomo