Nell’epoca dell’innovazione digitale e tecnologica, una questione si fa sempre più pressante: l’intelligenza artificiale (IA) prenderà il posto degli esseri umani nel mondo del lavoro? Filippo Di Cesare, CEO di Engineering Brasil, offre una prospettiva rassicurante e profondamente umanistica sulle potenzialità e sui limiti delle macchine.
Il dibattito intorno a questo argomento non è nuovo. Da decenni la narrativa fantastico-scientifica ha spesso immaginato un futuro in cui gli automi sostituiscono la forza lavoro umana in quasi tutti i campi. Con l’avvento di tecnologie sempre più avanzate, questo scenario sembra a tratti vicino, ma Di Cesare invita a non cedere all’allarmismo. La sua visione riconosce il potenziale trasformativo dell’IA, ma sottolinea anche l’irriducibile distanza che separa l’esperienza umana da quella artificiale.
Il CEO spiega come esista una differenza fondamentale tra le macchine e gli umani: le prime operano in un contesto deterministico, regolato da leggi matematiche e fisiche. In questa logica, se tutte le variabili sono note, i comportamenti e le reazioni possono essere anticipati e replicati senza variazioni. Gli umani, invece, vivono e agiscono in un contesto quantistico, caratterizzato da fenomeni che non possono essere completamente predeterminati o replicati. Questo mondo umano è dominato dalla coscienza e dal libero arbitrio, elementi che rendono ogni persona unica e irripetibile.
Di Cesare pone l’accento su ciò che le macchine non possono fare: esperienze sensoriali dirette, come gustare una ciliegia, o sentimenti come l’ansia. Questi aspetti dell’esistenza umana rimangono al di fuori della portata delle capacità attuali dell’IA, che può solo descrivere ma non vivere queste esperienze.
Inoltre, il CEO di Engineering Brasil evidenzia un altro tratto distintivo dell’umano: l’intuizione. Gli uomini sono capaci di sviluppare teorie che infrangono i paradigmi esistenti, aprendo la strada a nuove comprensioni del mondo. La stessa capacità di teorizzare rivoluzioni scientifiche, come quelle compiute da Newton o Einstein, è qualcosa che per ora resta fuori dalla portata dell’IA.
Filippo Di Cesare non nega che le macchine possono evolvere teorie e generare contenuti coerenti all’interno del paradigma che conoscono. Tuttavia, sostiene che creare ex novo concetti rivoluzionari e comprendere pienamente contesti estremamente variabili e soggettivi è ancora un prerogativa esclusivamente umana.
In ultima analisi, Di Cesare ci ricorda che, anche se l’utilizzo dell’intelligenza artificiale continua a espandersi e a influenzare vari aspetti delle nostre vite, esiste un substrato di esperienza e creatività esclusivamente umano che non può essere replicato o sostituito. L’accoglienza dell’IA nel mondo del lavoro dovrebbe quindi essere gestita con una visione chiara delle sue potenzialità e dei suoi limiti, garantendo che la tecnologia rimanga uno strumento al servizio dell’umanità, e non il suo sostituto.