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Referendum 2025: lavoro, diritti e identità – Duello a colpi di SI e NO tra Santurelli e Morano. Tu da che parte stai?

Due visioni contrapposte, due prospettive ideologiche e culturali profondamente diverse, a confronto su temi che toccano la vita concreta di milioni di italiani. In questa intervista doppia, li mettiamo faccia a faccia sui contenuti dei cinque quesiti.

Manca poco al voto del 8 e 9 giugno 2025, quando milioni di cittadini saranno chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari che promettono di incidere profondamente su diritti del lavoro, contratti, responsabilità negli appalti e tempi di accesso alla cittadinanza. È un appuntamento cruciale, che ha acceso un intenso dibattito politico e sociale nel Paese. Per orientare l’opinione pubblica e dare voce alle due principali posizioni in campo, abbiamo intervistato Sabino Morano e Valeria Santurelli, rispettivamente promotori del NO e del SÌ ai cinque quesiti referendari. Sabino Morano, irpino classe 1981, è un volto noto della destra meridionale, con un lungo passato nel mondo associativo, culturale e politico. Segretario della Lega in provincia di Avellino, autore di saggi e promotore della Macroregione Autonoma del Sud, Morano incarna una visione conservatrice e critica verso l’uso estensivo dello strumento referendario, che considera “abusato” in una democrazia parlamentare. Valeria Santurelli, giurista e giuslavorista, è dirigente sindacale dell’USB Pubblico Impiego e ispettore del lavoro. Con un impegno costante per la giustizia sociale e la difesa dei diritti dei lavoratori, Santurelli si fa portavoce del fronte del SÌ, convinta che il voto sia l’occasione per riaffermare i principi costituzionali e per contrastare la precarizzazione del lavoro in Italia. Due visioni contrapposte, due prospettive ideologiche e culturali profondamente diverse, a confronto su temi che toccano la vita concreta di milioni di italiani. In questa intervista doppia, li mettiamo faccia a faccia sui contenuti dei cinque quesiti.

1. Licenziamenti illegittimi e contratto a tutele crescenti

Lei è favorevole (SÌ) o contrario (NO) all’abolizione del contratto a tutele crescenti? Chi vota SÌ chiede di tornare alla reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Questo cambiamento tutela meglio i diritti dei lavoratori o rischia di scoraggiare le assunzioni da parte delle imprese?

S.M. Per quanto riguarda il primo non ci sono dubbi sul fatto che la reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo scoraggia le imprese ad assumere.

V.S. Il primo quesito del Referendum si occupa di licenziamenti e occorre votare SI per ottenere l’abrogazione del decreto legislativo n. 23 del 4.03.2015 cosiddetto Jobs Act che ha introdotto il più feroce attacco legislativo al mondo del lavoro, con il quale i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, se licenziati ingiustamente, non hanno diritto al reintegro nel posto di lavoro (se non in casi isolati), contrariamente a tutti i lavoratori assunti prima di tale data. Si sono creati, dunque, lavoratori di serie A (i vecchi assunti a cui si applica ancora l’art. 18) e lavoratori di serie B (i nuovi assunti a cui non si applica l’art.18). Con il Jobs Act i lavoratori sono più deboli e più ricattabili. Con l’integrale abrogazione scompare la piaga del contratto a tutele crescenti. Il diritto al reintegro è stato una grande conquista di civiltà giuridica introdotta con l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970) grazie al quale il lavoratore licenziato illegittimamente una volta reintegrato poteva decidere se rientrare in azienda oppure optare per un ulteriore risarcimento di 15 mensilità. Con la vittoria dei SI, tutti noi lavoratori saremo sottoposti alla disciplina dell’art. 18 sebbene indebolito dalla legge n. 92 del 2012 cosiddetta Fornero. Ad ogni modo anche l’art. 18 modificato dalla legge Fornero sebbene con la graduazione delle tutele, prevede il diritto al reintegro in un numero importante di casi e la vittoria dei SI segnerebbe la volontà dei cittadini verso il diritto al reintegro aprendo la strada per la battaglia all’estensione di questo diritto a tutti i lavoratori e lavoratrici e a tutte le ipotesi di licenziamento, cosi i lavoratori e le lavoratrici saranno più forti e più liberi.

2. Indennità per licenziamenti nelle piccole imprese

Il quesito propone di eliminare il tetto massimo all’indennizzo per i lavoratori licenziati illegittimamente nelle piccole imprese. Chi sostiene il SÌ ritiene che il risarcimento debba essere deciso liberamente dal giudice. Chi è per il NO teme invece che questo crei incertezza per i datori di lavoro. Qual è l’equilibrio giusto tra tutela del lavoratore e sostenibilità per l’azienda?

S.M. Il tetto massimo di indennizzo è assolutamente necessario non si può lasciare campo libero ai giudici in questa materia. Sarebbe una cosa pericolosissima.

V.S. Il secondo quesito si occupa di cosa succede ad un lavoratore/lavoratrice che venga ingiustamente licenziato in una piccola azienda (ovvero max 15 dipendenti nell’unità produttiva; oppure nel comune o complessivamente a livello nazionale meno di 60 dipendenti). Da premettere che stiamo parlando del 95% delle aziende italiane e che attualmente con il sistema degli appalti e subappalti vigente anche grandi aziende sono prive però di un numero adeguato di propri dipendenti. Il lavoratore o la lavoratrice ingiustamente licenziati oggi non ricevono nessuna tutela sotto il profilo dello Statuto dei Lavoratori quindi NON si applica l’art. 18, gli si applica solo una tutela risarcitoria fissata in un minimo di 2,5 mensilità e un massimo di 6 mensilità. Questo tetto è giudicato ormai storicamente superato e non è più adeguato per funzionare come effettivo deterrente nei confronti dei datori di lavoro che licenziano illegittimamente; titolari di imprese con pochissimi dipendenti ma con fatturati abnormi e assolutamente sproporzionati al numero degli stessi. Lo scopo del Referendum è eliminare questo tetto massimo di 6 mensilità per poter fare accertare e conseguentemente consentire al Giudice di poter ampliare e rendere più effettivo la quantità del risarcimento che il lavoratore può percepire e dunque ancora una volta significa restituire dignità al Lavoro anche nelle cosiddette piccole aziende. Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro, è tenuto ad riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di 3 giorni o in mancanza a risarcire il danno versando un’indennità di importo minimo di 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero di dipendenti occupati, all’anzianità di servizio del prestatore di servizio, alle dimensioni dell’azienda, al comportamento e alle condizioni delle parti e dunque ad un effettivo risarcimento.

3. Contratti a termine

Abrogare le norme del 2015 sui contratti a termine significa ridurre la flessibilità concessa ai datori di lavoro. I sostenitori del SÌ dicono che si combatte la precarietà, quelli del NO rispondono che si mette a rischio la competitività. Quale sarà l’impatto reale sul mercato del lavoro?”

S.M. In questa fase storica la flessibilità del lavoro è una condizione indispensabile. Non è più immaginabile di fronte all’avanzare galoppante dell’innovazione tecnologica pensare al lavoro in una chiave “novecentesca”.

V.S. Per il terzo quesito referendario occorre fare una premessa: nel nostro ordinamento e nella normativa comunitaria la regola è il contratto a tempo indeterminato mentre il contratto a tempo determinato e di lavoro in somministrazione (ovvero peggioramento delle condizioni di lavoro e delle garanzie a tutti i livelli) che è lavoro precario, è limitato a casi eccezionali e predeterminati dalla legge dunque è giustissimo imporre causali. Pertanto, è necessario pronunciarsi sulla possibilità di abrogare parte dell’art. 19 del Dlgs. 81/2015 che disciplina i contratti a tempo determinato escludendo la possibilità di apporre una motivazione, una casuale ai rapporti di lavoro a tempo determinato fino a 12 mesi. Con i SI al Referendum noi potremmo finalmente modificare questa norma e ritornare ad una condizione tale che per stipulare un contratto a tempo determinato, i datori di lavoro saranno obbligati ad indicare una motivazione che dia una giustificazione al perché si ricorra al rapporto di lavoro a tempo determinato e questo anche per i rapporti fino a 12 mesi. L’obiettivo è dunque di eliminare una possibile via di abusi da parte delle aziende sulla scelta di un contratto che deve essere limitato al lavoro stagionale o a picchi sporadici di produzione e che invece ha ampia ed ingiustificata diffusione e che rappresenta la stratificazione nel tempo di una precarizzazione del rapporto di lavoro dando la possibilità alle aziende di poter optare per rapporti di breve durata senza neppur motivare concretamente perché si è scelto questo contratto eludendo la disciplina contrattuale corretta.

4. Responsabilità solidale negli appalti

Il referendum vuole ripristinare la responsabilità solidale del committente anche in caso di infortuni causati da rischi specifici del subappaltatore. Chi vota SÌ crede sia una garanzia di giustizia per i lavoratori. Chi vota NO teme un freno all’attività imprenditoriale. Qual è il giusto bilanciamento tra tutela della salute e libertà d’impresa?

S.M. Questa è una materia molto complessa assolutamente inadatta all’istituto referendario, la questione va a mio avviso probabilmente rivista e corretta ma deve occuparsene il Parlamento.

V.S. Con il quarto quesito del Referendum del 8 e 9 giugno votando SI è possibile fare un piccolo ma vero cambiamento andando a determinare un’abrogazione mirata ed affermare che il datore di lavoro committente (azienda appaltante) è responsabile per qualunque infortunio che accada nella filiera dei suoi appalti e subappalti. Per la situazione della decrescita economica italiana su cui tutti sono d’accordo, anche il centro studi di Confindustria, la causa è l’eccessiva piccolezza delle dimensioni delle aziende e lo scarso investimento sul patrimonio immateriale dei lavoratori per cui frantumazione delle aziende e precarizzazione dei rapporti di lavoro che si concretizza con l’appalto di manodopera e la filiera dei subappalti. Pensiamo ad esempio all’appalto Esselunga nel cantiere a Firenze solo un anno fa, con 5 morti, 100 operai dipendenti di 30 diverse aziende. Bene, in questo modo si può cominciare a dare giustizia a questi morti e a costringere anche agli obblighi penalmente sanzionatori ad essere responsabili anche gli appaltatori committenti. In questo modo si può cominciare un percorso concreto di ricrescita della dimensione aziendale e di stabilità dei rapporti. Si può far partire realmente lo sviluppo del Paese, votando SI è fare un passo concreto e questo nell’interesse di tutti. La solidarietà negli appalti era già prevista dal codice civile del 1865 e per quanto concerne agli aspetti retributivi e contributivi la solidarietà era esistente nell’art. 1676 del codice civile e permette un’azione diretta nei confronti dell’appaltante (privati e P.A.) fino alla decorrenza del debito. Oggi con il d.lgs. 276 del 2003 la solidarietà dell’appaltante per i crediti retributivi e contributivi prevede invece l’azione risarcitoria fino a 2 anni dalla fine dell’appalto. Resta incredibilmente fuori la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Il quarto quesito interviene proprio sul problema di quali garanzie dare per cercare di migliorare la situazione sugli aspetti della sicurezza del lavoro in Italia dove i dati degli infortuni sul lavoro e malattie professionali, nonostante gli enormi progressi tecnologici, sono gli stessi del 1950 ed i costi per la sicurezza del lavoro vengono elusi con l’utilizzo spregiudicato dei subappalti a cascata. Non si può non comprendere la necessità che, se nell’ambito di un’attività imprenditoriale venga appaltata un’attività specifica ad un’impresa specializzata in quell’attività, la violazione della normativa sulla sicurezza non può non comportare la solidarietà anche del datore di lavoro appaltante e dunque committente. Un lavoratore che subisce un infortunio o una malattia professionale (pensiamo ad es. al mesotelioma da amianto) per violazione delle norme sulla salute e sicurezza dei luoghi di lavoro ha diritto ad un risarcimento e che affinché questo diritto sia concreto ed effettivo venga coinvolto l’appaltatore che ha usufruito anche della sua prestazione di lavoro evitando l’utilizzo strumentale di soggetti o società di poca solvibilità che non rispondono alle azioni. Evidente civiltà giuridica oltre che sociale: chi accoglie dei lavoratori nella propria attività imprenditoriale per usufruire di servizi o del lavoro di cui ha bisogno deve rispondere anche della salute e sicurezza di questi lavoratori. Votando SI si attiverà un percorso virtuoso ponendo maggiore attenzione nelle scelte delle imprese appaltatrici e subappaltatrici non limitandosi al conseguimento del massimo profitto eludendo il costo della salute e sicurezza dei lavoratori che causano i tanti morti giornalieri, vergogna del nostro Paese.

5. Cittadinanza italiana per stranieri

Il quesito propone di ridurre da 10 a 5 anni la residenza necessaria per richiedere la cittadinanza italiana. I favorevoli al SÌ parlano di integrazione e diritti, i contrari al NO di tempi troppo brevi per una vera conoscenza della cultura italiana. Cosa significa, essere pronti a diventare cittadini italiani?

S.M. Il quinto quesito è di natura squisitamente propagandistica. Non ha alcun senso abbreviare i tempi per richiedere la cittadinanza. Mi sembra tanto un tentativo disperato della sinistra di costruire “massa elettorale”.

V.S. E veniamo all’ultimo quesito referendario che sembra essere eterogeneo rispetto ai primi quattro, ma vedremo invece che è strettamente collegato al tema del lavoro, alla dignità delle persone, di giustizia sociale, e di civiltà giuridica e di un grande miglioramento della qualità della vita sociale del nostro Paese e che avrà anche riflessi per il mondo del lavoro. Il quinto quesito in materia di cittadinanza la cui approvazione porterebbe alla possibilità per i cittadini stranieri lavoratori regolarmente presenti in Italia almeno da 5 anni ( e non più 10 come attualmente) a poter avere la concessione della cittadinanza italiana. Ai 5 anni si sommano i tanti tempi fino a 2, 3, anche 4 anni per lo svolgimento della procedura amministrativa. Si tratta di una concessione quindi non di un diritto. Ma la possibilità di abbassare a 5 anni di permanenza di persone che vivono, lavorano, pagano i contributi, ottemperano agli obblighi fiscali, parlano la lingua italiana,  hanno i propri figli nelle nostre scuole, di cittadini stranieri, con assenza di cause ostative collegate alla sicurezza pubblica, significa eliminare per una vasta parte di popolazione straniera quel requisito di precarietà e dunque di ricattabilità anche sotto il profilo lavorativo e sindacale che caratterizza la condizione di chi non è ancora cittadino. Questo è un elemento molto importante che unisce il quinto referendum sulla cittadinanza a quelli sul lavoro. L’approvazione del referendum significa anche per tanti minori stranieri che vivono stabilmente con il neocittadino di ottenere la cittadinanza superando alcuni dei limiti posti oggi in materia di cittadinanza con la mancata approvazione delle leggi sullo jus soli per chi nasce in Italia e sullo jus scole per quei ragazzi che frequentano le nostre scuole e che non sono cittadini italiani e che vivono in una condizione per questo di discriminazione e differenziazione. Si tratta di togliere intere famiglie al ricatto delle condizioni lavorative a cui vengono sottoposte. Votate SI.

Grazie ad entrambi

di Giuseppe Di Giacomo

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Giuseppe Di Giacomo