
Il 11 luglio 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso un verdetto storico nella causa C-598/22, segnando un momento cruciale nella lotta per la protezione delle aree costiere e la tutela ambientale. Angelo Bonelli, deputato di Avs, ha salutato con entusiasmo questa sentenza, interpretandola come un successo significativo per la difesa dei diritti civili e del patrimonio naturale.
La sentenza ha confermato la legalità dell’articolo 49 del Codice della Navigazione, che prevede l’esproprio a favore dello Stato delle opere immobili sulla zona marittima terminata la concessione, senza indennizzi per i concessionari. Questo provvedimento impedisce le proroghe automatiche delle concessioni e insiste sulla necessità di processi concorrenziali, assicurando che le spiagge rimangano una risorsa accessibile a tutti.
L’interpretazione della Corte sottolinea l’importanza di mantenere il demanio marittimo sotto la gestione pubblica e riconosce la precarietà e la revocabilità delle autorizzazioni di occupazione, piazzando un ostacolo alle manovre di accaparramento delle coste da parte di entità private. Bonelli ha criticato aspramente le politiche governative correnti, accusando l’amministrazione di Giorgia Meloni di favorire gli interessi di lobbies e magnati a scapito del bene collettivo.
Il parlamentare ha infatti esemplificato la sua denuncia facendo riferimento a stabilimenti balneari di alto profilo, come il Twiga di Flavio Briatore, che godono di canoni di concessione irrisori rispetto al valore effettivo delle location. Queste situazioni, a suo avviso, contribuiscono all’erosione dello spazio pubblico accessibile, compromettendo la disponibilità delle spiagge libere e il diritto alla fruizione collettiva del litorale.
Questa risoluzione giuridica non solo rafforza l’architettura legale intorno alla gestione delle spiagge, ma invita a una riflessione più ampia sulla necessità di politiche più equitative e trasparenti che garantiscano il rispetto dell’ambiente e promuovano la giusta redistribuzione delle risorse naturali. Si profila quindi come un modello di giustizia ambientale da esportare anche in altri contesti, dove la lotta fra interessi privati e diritti collettivi si fa sempre più accesa.
In definitiva, la decisione della Corte di Giustizia rappresenta un punto di svolta nel discorso sulla conservazione dei beni comuni e l’accessibilità pubblica alle risorse naturali. Resta da vedere come questa sentenza influenzerà la legislazione futuro e quali impatti concreti avrà sulla gestione delle coste italiane, un patrimonio di inestimabile valore, ora riconfermato come tale anche sui palcoscenici europei.