
Nell’ultima legge di bilancio presentata al Parlamento, un particolare dettaglio non è passato inosservato: il mancato abbassamento del canone Rai da 90 a 70 euro, decisione precedentemente ventilata ma ora rimasta in sospeso. Questa scelta, insieme ad una serie di indicazioni sui futuri indirizzi di spesa, accende nuovi riflettori sulle finanziarie dinamiche della televisione pubblica italiana e le implicazioni sulle sue operazioni a medio termine.
La Rai, sotto la nuova amministrazione di Giampaolo Rossi, considerato vicino alla Premier Giorgia Meloni, si trova di fronte a una doppia sfida. Da un lato, la preservazione della sua autonomia operativa in un clima di crescente pressione finanziaria, dall’altro, la necessità di navigare le acque spesso turbolente della politica italiana, con tutte le sue implicazioni.
Nessun incremento è previsto per il 2025 per quanto riguarda le spese del personale e le consulenze, che dovranno mantenersi ai livelli del 2023. Ancora più rigorose appaiono le proiezioni per gli anni successivi: nel 2026, un taglio del 2% e, nel 2027, una riduzione del 4% rispetto alla media delle spese sostenute nel triennio 2021-2023. Riduzioni sostanziali che secondo i dirigenti Rai rischiano di compromettere sia le operazioni correnti sia i piani di sviluppo e ammodernamento. Queste misure, definite come sforbiciate nei costi, sono percepite come tentativi di internazionalizzazione delle scelte manageriali.
Nel corso dell’ultimo anno, i costi del personale si sono mantenuti leggermente al di sotto del miliardo di euro, segnalando una gestione oculata delle risorse disponibili. Ciononostante, l’apprensione tra i ranghi dei dirigenti e dei dipendenti cresce, soprattutto perché l’impresa è attualmente coinvolta in delicati negoziati per il rinnovo del contratto collettivo, con richieste di incrementi salariali che potrebbero complicare ulteriormente il panorama finanziario.
Questo contesto di incertezza è stato ulteriormente turbato dalla mancanza di conferma sul taglio del canone, elemento che aveva suscitato aspettative positive tra i consumatori e l’opinione pubblica, sollevando però il malcontento tra le fila del Codacons. La decisione di mantenere il canone a 90 euro potrebbe aver pacificato temporaneamente alcuni settori politici, tra cui Forza Italia, il cui sostegno alla decisione è stato palpabile nelle recenti dichiarazioni di apprezzamento da parte di Marina Berlusconi.
Al di là delle manovre politiche, permangono reali preoccupazioni per l’effetto di queste politiche sulla qualità e l’indipendenza del servizio offerto dalla Rai. Le associazioni di dirigenti sottolineano l’importanza delle competenze specifiche, talvolta reperibili solo attraverso il ricorso a consulenze esterne, essenziali per mantenere la Rai competitiva in un panorama mediatico in rapida evoluzione.
In aggiunta, la proposta di un tetto ai compensi dei dirigenti pubblici a 120,000 euro, potrebbe non trovare applicazione nel caso della Rai, ma il dibattito resta aperto e contribuisce al clima di incertezza.
In conclusione, la Rai si trova all’incrocio tra il bisogno di modernizzazione e l’urgenza di contenimento dei costi, mentre il governo cerca di bilanciare interessi politici e finanziari. In questo scacchiere, la strategia adottata influenzerà non solo il futuro dell’emittente nazionale, ma anche il tessuto culturale e informativo dell’Italia.