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Terremoto dell’Irpinia, 44 anni dopo: Gianfranco Rotondi racconta i ricordi, le sfide e il futuro della sua terra.

In ATTUALITA', AVELLINO, CAMPANIA, IN EVIDENZA, OPINIONE
Novembre 23, 2024
Rotondi: “Non si sceglie dove si nasce ma come si vive, e questa lezione è ben chiara ai giovani irpini”.

In occasione del 44° anniversario del devastante terremoto che colpì l’Irpinia il 23 novembre 1980, abbiamo incontrato l’On. Gianfranco Rotondi, testimone diretto di quella tragica notte. Rotondi, profondo conoscitore della storia e delle dinamiche sociali e politiche della sua terra, ci ha raccontato i ricordi indelebili di quei momenti, riflettendo sull’impatto del sisma sulla comunità irpina e sul suo percorso politico. Durante l’intervista, l’Onorevole ha ricordato i drammatici istanti vissuti. A distanza di quasi mezzo secolo, Rotondi analizza criticamente la ricostruzione, evidenziando le carenze nella prevenzione e nei piani di sviluppo delle aree interne. Dalla nascita della Protezione Civile al ruolo della Democrazia Cristiana, dall’emigrazione all’opportunità offerta oggi dallo smart working, E conclude con un messaggio ai giovani irpini, eredi di un territorio ricco di storia e resilienza.

Terremoto Irpinia 1980

Dove si trovava la sera del 23 novembre 1980 e quali sono i suoi ricordi più vividi di quei momenti tragici?

Ero nel palazzo del governo di Avellino, più esattamente nel circolo della stampa, e stavo attraversando il salone che ospitava, come sempre, una mostra d’arte. Ricordo vividamente la scena dei cavalletti di appoggio dei quadri che si sollevarono tutti contemporaneamente dal suolo. Pensammo a una bomba, e uscimmo tutti abbracciati, ricordo che c’era il compianto dottor Peppino Carpinella.

Come il terremoto ha segnato la sua visione dell’Irpinia e il suo percorso politico?

Il terremoto ha segnato l’anima e il cuore di intere generazioni. Ha influenzato anche la politica, naturalmente, soprattutto generando una economia drogata della ricostruzione, e un conseguente successivo picco di crisi.

Guardando a distanza di 44 anni, crede che la ricostruzione post-sisma sia stata adeguata?

No, perché la prevenzione è ancora tutta da programmare. Si sono ricostruite le case cadute ma non si è fatto nulla per quelle che possono cadere, penso all’edilizia vetusta che ha retto l’urto del 1980 ma difficilmente potrà sfidare il tempo futuro in una zona ad alto rischio sismico.

Quali lezioni possiamo trarre da quell’esperienza in termini di gestione delle emergenze e di ricostruzione?

Lo Stato italiano ha già fatto tesoro di quelle esperienze: la protezione civile nasce da là, e non a caso il primo ministro della protezione civile fu Zamberletti, indimenticabile commissario di governo per l’emergenza e la ricostruzione

Come giudica il ruolo della Democrazia Cristiana e degli altri partiti nella gestione dell’emergenza e della ricostruzione?

Ci fu grande impegno per assicurare risorse ingenti ed immediate, semmai la ripartizione risentì delle divisioni interne alla Dc, con un ingresso a gamba tesa della classe dirigente napoletana, che profittó della occasione per giovare alla propria realtà, intento sempre meritorio ma in quel momento distrattivo.

L’emigrazione è stata una delle conseguenze indirette del terremoto. Ritiene che sia stato fatto abbastanza per arginare lo spopolamento delle aree interne?

Lo spopolamento è un fenomeno mondiale e non recente: la gente lascia le campagne e va verso le aree metropolitane, in cerca di lavoro e migliore qualità di vita. Ora la tendenza inizia a invertirsi , a causa della crisi economica e del costo sempre maggiore della vita nelle grandi aree urbane.

A quasi mezzo secolo dal sisma, quali sono le priorità per il rilancio delle aree colpite e, più in generale, delle zone interne del Sud Italia?

 Il covid ci ha suggerito una via di sviluppo per il Mezzogiorno e le aree interne: lo Smart working permette una vera e propria rivoluzione nella organizzazione e nella dislocazione delle forze lavoro. Ne ho parlato pochi giorni col ministro della Pubblica Amministrazione Zangrillo. L’ho invitato a visitare Cairano e l’alta Irpinia, in forma privata, per constatare quale qualità di vita e potere di acquisto si consegnerebbe ai dipendenti pubblici di primo accesso consentendo la dislocazione periferica di risorse concentrate oggi a Roma. Peraltro negli ultimi concorsi si è verificato uno scorrimento abnorme delle graduatorie, perché molti vincitori si sono rifiutati di prendere servizio a Roma, dove vitto e alloggio costano più dello stipendio.

C’è un messaggio che vorrebbe rivolgere ai giovani irpini che non hanno vissuto il terremoto ma ne portano ancora le conseguenze?

Non si sceglie dove si nasce ma come si vive, e questa lezione è ben chiara ai giovani irpini.

Grazie

di Giuseppe Di Giacomo