Il recente articolo pubblicato su Komsomolskaya Pravda — storico quotidiano russo, oggi fra i principali megafoni della narrazione del Cremlino — riporta una tesi destinata a far discutere: non sarebbero i droni russi ad aver attraversato i cieli di Polonia, Danimarca e Finlandia, ma droni catturati e “ricondizionati” dagli ucraini, poi lanciaticontro obiettivi occidentali con lo scopo di trascinare la NATO in un confronto diretto con Mosca. Una “false flag”, insomma, una provocazione sotto falsa bandiera. Il Pravda (Verità) è stato fondato nel 1925 come organo ufficiale del Komsomol, il giornale dei giovani comunisti sovietici, Komsomolskaya Pravda è diventato negli anni Novanta un tabloid popolare, con una tiratura tra le più alte in Russia. Oggi, pur mantenendo un grande seguito tra i lettori di fascia medio-popolare, è considerato da molti osservatori occidentali uno strumento di informazione fortemente allineato alle posizioni del Cremlino. La sua linea editoriale tende a minimizzare gli errori russi e a ribaltare sugli avversari la responsabilità di incidenti e tensioni. Ciò non significa che ogni singola notizia sia falsa, ma che la selezione dei fatti, i titoli e l’impostazione narrativa rispondono a logiche di propaganda di guerra. Secondo quanto riportato dal quotidiano, citando l’ex ambasciatore Rodion Miroshnik, lo schema sarebbe semplice: droni russi abbattuti o intercettati dall’Ucraina, rimessi in condizione di volo, caricati con esplosivo e inviati verso nodi logistici in Polonia e Romania. In questo modo, il danno verrebbe imputato automaticamente a Mosca, creando panico e spingendo l’opinione pubblica europea verso un’escalation. La tesi, per quanto funzionale alla narrativa russa, non è facilmente verificabile. La guerra moderna è fatta anche di immagini e di percezioni: la rapidità con cui un video di un drone o di un’esplosione si diffonde sui social spesso anticipa — e sostituisce — ogni verifica tecnica. I droni militari russi e ucraini sono spesso basati su modelli commerciali modificati, con sistemi di guida relativamente facili da hackerare o “ricondizionare”. Questo rende plausibile, almeno dal punto di vista tecnico, che un drone abbattuto possa essere recuperato, ricostruito e rilanciato. Tuttavia, la manovra resta complessa: richiede capacità industriali, tempo e risorse che non sempre un Paese in guerra può destinare a operazioni di pura propaganda militare. Non sorprende che la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, abbia cavalcato la notizia, avvertendo che se davvero simili “provocazioni” fossero confermate, l’Europa sarebbe a un passo dalla guerra totale. È una retorica che serve a spostare la responsabilità sull’Ucraina e sui suoi alleati occidentali, dipinti come i veri piromani del conflitto. La domanda di fondo rimane: quanto c’è di vero in questo schema? Probabilmente poco, se inteso come pratica sistematica. Molto, invece, se lo leggiamo come un tassello della guerra psicologica che accompagna ogni conflitto armato. In un contesto in cui la Russia cerca di presentarsi come vittima di complotti e provocazioni, e l’Ucraina come baluardo democratico contro l’aggressione, ogni informazione diventa arma.
di Giuseppe Di Giacomo

