La scena politica italiana è stata nuovamente teatro di ferventi dibattiti e dimostrazioni di protesta. Alla Camera dei deputati, gli esponenti dell’opposizione hanno manifestato il loro disappunto scuotendo al vento bandiere tricolori, e intonando, con veemenza, l’inno di Mameli, interrotto dalle esclamazioni di “Vergogna! Vergogna!” Questa è stata la reazione all’esito della votazione su una mozione unitaria rigettata dalla maggioranza: 155 voti contrari, 124 favorevoli e 2 astenuti. La mozione sollecitava il governo a cessare immediatamente le trattative con le Regioni sulle cosiddette ‘materie non Lep’ e a sciogliere il Clep, Comitato per la determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, per preservare, inoltre, un rapporto corretto tra le istituzioni governative e il Parlamento.
Il Ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, ha subito assunto una posizione ferma, reiterando che i negoziati con le Regioni avrebbero continuato nonostante l’opposizione e rifiutando categoricamente lo scioglimento del Clep. Questo suo approccio si registra in attesa che venga pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale, che il 14 novembre ha etichettato come inconstituzionale l’essenza della riforma sull’autonomia, una riforma che continua a spaccare l’opinione pubblica e le forze politiche.
Anche il Senato ha assistito a momenti di alta tensione. Subito dopo l’annuncio del rinvio di un giorno del Codice della Strada – un altro progetto chiave della Lega – e la contestazione a Montecitorio, ha preso parola il capogruppo del Partito Democratico, Francesco Boccia. Egli ha criticato l’atteggiamento di Calderoli riguardo all’autonomia, censurandone le insistenze per cui l’opposizione dovesse “star zitta per sempre”. Successivamente, ha richiesto la presenza della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in Parlamento per una chiarificazione ufficiale della sua posizione.
L’appello di Boccia alla prudenza è stato condiviso da diverse voci dell’opposizione: da Enrico Borghi di Italia Viva, che ha enfatizzato come non si lasceranno intimidire, a Filiberto Zaratti di Azione, che ha dichiarato la legge “morta”. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha etichettato il disegno di legge come nocivo, capace di impoverire ulteriormente le aree già svantaggiate del paese, sottolineando le carenze e l’approssimazione con cui la riforma è stata gestita.
In questo clima acceso, Luigi Di Maio e i suoi hanno continuato a sostenere la necessità di un’attenta osservazione delle procedure legislative, mentre personaggi come il presidente del Veneto, Luca Zaia, proseguono il loro lavoro cercando di adattarsi e spingere per una maggiore efficienza nelle procedure regionali di protezione civile. Nel frattempo, Pietro Pittalis di Forza Italia ha sollecitato a un “surplus di riflessione” da parte di tutti gli attori coinvolti, sottolineando come l’ideale autonomista bandierato in campagna elettorale si sia rivelato problematico.
L’ambiente politico rimane teso e carico di passione, mentre la questione dell’autonomia evidenzia la profonda divisione tra le forze in gioco, giocando un ruolo chiave nella definizione del futuro istituzionale e operativo delle regioni italiane. Nel dibattito si riflette non solo una lotta di potere, ma anche una profonda riflessione sul tipo di nazione che l’Italia aspira a essere nel contesto europeo e globale.