
In una mossa senza precedenti, cinque regioni italiane hanno dichiarato guerra all’autonomia differenziata, avviando l’iter per la convocazione di diverse consultazioni referendarie. La scelta di queste regioni — Campania, Emilia Romagna, Sardegna, Puglia e Toscana — riflette una crescente preoccupazione nei confronti delle possibili disuguaglianze che potrebbero derivare dalla legge Calderoli, la quale, in teoria, mira a redistribuire autonomie specifiche in materia fiscale ed amministrativa.
Sebbene la raccolta delle 500.000 firme necessarie a sostegno del referendum sia prioritaria e debba concludersi entro settembre, il percorso è costellato di ostacoli notevoli. Il primo si annuncia con la verifica dell’ammissibilità del quesito referendario: la legge Calderoli, infatti, è sotto la lente per la sua natura potenzialmente fiscale. Di conseguenza, le cinque regioni stanno preparando due distinti quesiti. Il primo mira all’abrogazione completa della legge, mentre il secondo punta a rivisitarne punti specifici, come i livelli essenziali di prestazione (Lep), per assicurarsi di centrare l’obiettivo anche nel caso di inammissibilità del primo quesito.
Da un punto di vista strategico, questa manovra evidenzia la sagacia e la preveggenza delle amministrazioni regionali e dei loro consulenti legali. Andrea Giorgis, noto esperto in materia, esprime ottimismo quanto all’esito favorevole da parte della Corte Costituzionale sulla validità del referendum, suggerendo che equiparare l’autonomia differenziata a una legge di bilancio sarebbe alquanto forzato.
Non meno complesso apparirà l’altro grande ostacolo al successo del referendum: raggiungere il necessario quorum. Carlos Calenda, con una dose di pessimismo, ritiene che la mobilitazione necessaria sia quasi irraggiungibile. Tuttavia, dal Sud considerato propizio alla mobilitazione a sinistra, l’attenzione è ora rivolta anche al Nord, cruciali per garantire una partecipazione trasversale e numerosa.
Marco Sarracino, responsabile Coesione del PD, si fa portavoce di un morale combativo, sottolineando la rilevanza di non cedere al fatalismo, mettendo in evidenza come molti elettori di centrodestra siano contrari alla legge. In questa luce, la critica interna cresce, con figure come Angelo Bonelli, che riprendono Calenda per una strategia ritenuta divisiva e non costruttiva.
Il quadro che emerge è uno di attivismo democratico, con le regioni impegnate in una battaglia di interpretazioni legali e mobilitazioni popolari. Con il rischio, sempre incombente, di vedere una sfida tanto cruciale per la coesione nazionale naufragare nell’indifferenza o nel labirinto burocratico, la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Con gli emendamenti pronti e le strategie in affinamento, gli sviluppi futuri saranno decisivi per definire i contorni di una nazione che, alla prova dei fatti, decide quanto essere “unita” significhi ancora condividere un destino comune.