725 views 9 mins 0 comments

Dal primo tasto alla grande musica, il viaggio autentico di Elisabetta Furio.

In AVELLINO, CAMPANIA, CULTURA, IN EVIDENZA
Maggio 08, 2025
In questa intervista, Elisabetta ci accompagna tra i ricordi dell’infanzia, l’amore per la musica da camera, i dietro le quinte della televisione e le sfide quotidiane di una carriera in costante evoluzione, raccontando con autenticità il viaggio di un’artista che non smette mai di cercare, crescere e sognare.

Elisabetta Furio è una pianista che ha fatto della musica una vocazione coltivata con passione, rigore e costante desiderio di crescita. Inizia a suonare il pianoforte all’età di sei anni e da allora non ha mai smesso di studiare, perfezionarsi ed esibirsi, attraversando un percorso che l’ha portata dai banchi del Conservatorio “Domenico Cimarosa” alle scene di prestigiosi festival e concorsi nazionali e internazionali. La sua formazione si è intrecciata con quella di grandi nomi del concertismo europeo, e il suo talento si è espresso sia come solista che in ambito cameristico, dove ha scoperto una nuova dimensione di dialogo e condivisione artistica. In questa intervista, Elisabetta ci accompagna tra i ricordi dell’infanzia, l’amore per la musica da camera, i dietro le quinte della televisione e le sfide quotidiane di una carriera in costante evoluzione, raccontando con autenticità il viaggio di un’artista che non smette mai di cercare, crescere e sognare.

Elisabetta, hai iniziato a studiare pianoforte a soli sei anni, cosa ricordi di quel primo incontro con lo strumento?

Ricordo con emozione quel primo incontro con il pianoforte: tutto mi sembrava un gioco. È stato grazie ai miei genitori, sempre attenti a incoraggiarci, e a mio fratello Andrea, che già suonava, se mi sono avvicinata allo strumento. Mi affascinavano i suoni che riuscivo a creare con i tasti, e scoprire che potevo trasformare quei suoni in musica è stato per me qualcosa di magico.

Il tuo percorso è stato segnato da maestri di grande prestigio, c’è qualcuno che ha avuto un impatto particolarmente decisivo sulla tua formazione?

Ogni maestro ha contribuito e sta contribuendo con la propria visione, esperienza e approccio unico, alla mia crescita tecnica e artistica. Mi piace pensare che, ogni strumentista sia la “somma” delle esperienze che ha vissuto e degli insegnamenti che ha ricevuto. Tuttavia, una figura davvero determinante per la mia formazione è stata la mia insegnante di conservatorio, Maria Pia Cellerino. Con lei ho imparato la disciplina e il rigore, elementi che sono diventati essenziali per il mio percorso. Mi ha accompagnata per dieci anni, vedendomi crescere e cambiando nelle diverse fasi della mia vita: da bambina, ad adolescente, fino a diventare donna.

Hai ottenuto numerosi premi fin da giovanissima, come hai vissuto quei riconoscimenti e quanto hanno influenzato il tuo percorso?

Da giovanissima, ricevere premi è stato sicuramente un grande incoraggiamento, ma allo stesso tempo mi ha insegnato a non fermarmi mai. Ogni riconoscimento era una spinta a migliorarmi, ma anche un momento di riflessione su quanto fosse importante continuare a lavorare con impegno e passione. Non li ho mai vissuti come un punto di arrivo, ma come tappe che mi hanno aiutato a crescere sia come musicista che come persona. Il percorso musicale è difficile, ampio e in continua evoluzione: si può sempre puntare più in alto. I premi non sono mai stati l’obiettivo finale, piuttosto un segno del fatto che il lavoro sta dando dei frutti, senza mai dimenticare che c’è sempre tanto da imparare e migliorare.

Hai partecipato come controfigura nella fiction “Un posto al sole”: un’esperienza diversa dal palcoscenico musicale, cosa ti ha lasciato?

È stata un’esperienza davvero diversa rispetto al palcoscenico musicale, ma molto interessante. Partecipare come controfigura mi ha fatto scoprire il mondo della televisione, con ritmi e modalità completamente diversi da quelli della musica. Ricordo che indossavo gli stessi vestiti dell’attrice, ma lei era molto più grande di me, io ero una bambina e i costumi di scena erano davvero tanto grandi per la mia fisicità. La scena è stata ripetuta tante volte, anche perché l’attrice che interpretava la mamma, con tono severo, mi chiedeva continuamente di risuonare il brano. È stato divertente, ma anche istruttivo: mi ha lasciato una grande ammirazione per il lavoro sul set!

La musica da camera sembra occupare un posto centrale nel tuo percorso, cosa ti affascina di più di questa forma musicale?

È stato soprattutto negli ultimi anni del mio percorso che mi sono avvicinata con maggiore consapevolezza alla musica da camera. Mi sono quasi sempre concentrata sull’aspetto solistico, ma con il tempo ho scoperto quanto sia arricchente fare musica con gli altri. Non è solo una questione musicale, ma anche umana: si crea una connessione profonda, e anche se non accade sempre, credo che conoscersi davvero sia spesso fondamentale per suonare insieme in modo autentico. Mi sento particolarmente a mio agio quando faccio musica da camera, soprattutto in pubblico: condividere la scena con altri musicisti rende l’esperienza più naturale, più viva. Mi affascina il fatto che ogni voce sia indispensabile, ma allo stesso tempo parte di un tutto: non c’è gerarchia, ma collaborazione. Suonare in ensemble significa mettersi in gioco continuamente, ascoltare, imparare dagli altri e trovare un equilibrio tra espressione personale e visione collettiva.

Come riesci a mantenere viva la crescita artistica tra studio, concerti e perfezionamento continuo?

È un equilibrio delicato, ma credo che la chiave sia rimanere curiosi e pronti a mettersi sempre in discussione. Lo studio quotidiano è fondamentale, ma ogni concerto, ogni prova e ogni incontro con altri musicisti è un’opportunità per imparare qualcosa di nuovo. E perché no, anche gli episodi di vita quotidiana possono e, a mio parere, devono essere considerati parte integrante di questa crescita artistica. Viaggiare, poi, è per me molto stimolante: uscire da contesti chiusi e confrontarmi con nuove realtà e culture mi offre sempre nuovi spunti, sia musicali che umani. Di sicuro, questo percorso non è mai lineare: ci sono momenti ricchi di spunti e altri più lenti, ma entrambi sono necessari. Negli anni ho capito che non è sempre facile e scontato trovare del tempo per studiare a lungo, tra impegni e continui spostamenti: conta più la qualità dello studio che la quantità.

In che modo la tua terra d’origine, Avellino, ha influenzato il tuo rapporto con la musica?

Per quanto adori la mia città, sono consapevole del fatto che Avellino, non offre tantissimi stimoli. Il conservatorio è stato senza dubbio il cuore del mio percorso, ma al di fuori di quello, le opportunità per noi giovani musicisti sono davvero poche. In un certo senso, però, questa situazione mi ha spinto a cercare altrove, a esplorare nuove possibilità. Mi ha insegnato a non accontentarmi mai e a guardare oltre i confini della mia città, scoprendo nuove realtà e occasioni di crescita. È come se la mancanza di risorse locali mi avesse dato quella spinta in più per cercare fuori ciò che desideravo. Una ricerca che, per il momento, è ancora aperta!

Quali sono i tuoi progetti futuri o i sogni che ancora desideri realizzare?

Per il futuro, ho tanti sogni e progetti in mente. Da un lato, vorrei continuare a coltivare sia l’aspetto solistico che quello cameristico del mio percorso, cercando sempre nuove occasioni per crescere come musicista. Mi piacerebbe fare molte più esperienze anche all’estero, confrontandomi con realtà musicali diverse e arricchendomi di nuove influenze. In ogni caso, non voglio accontentarmi: il mio obiettivo è continuare a suonare per gli altri, cercando sempre di portare la mia musica in contesti diversi e stimolanti, perché credo che la musica sia fatta soprattutto per essere condivisa.

Grazie

di Giuseppe Di Giacomo

author avatar
Giuseppe Di Giacomo