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Dal Sogno alla Vetta: l’avventura dell’ing. Domenico Cavaliere al Campo Base dell’Everest.

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Dicembre 19, 2024
Domenico Cavaliere ha raccontato la sua esperienza sui social, descrivendo in dettaglio ogni tappa del cammino, tra villaggi antichi, monasteri buddisti e panorami mozzafiato che si susseguivano man mano che la quota saliva.

Ingegnere di professione, ma soprattutto viaggiatore appassionato, Domenico Cavaliere, residente ad Avellino e impiegato al Comune di Salerno, ha recentemente realizzato un’impresa che ha entusiasmato i suoi amici e follower sui social: un trekking di circa 140 km fino al campo base dell’Everest, una delle mete più iconiche per gli amanti della montagna e delle sfide. Un viaggio che non solo ha messo alla prova la sua resistenza fisica, ma che gli ha anche permesso di realizzare un sogno che coltivava da bambino. Domenico ha raccontato la sua esperienza sui social, descrivendo in dettaglio ogni tappa del cammino, tra villaggi antichi, monasteri buddisti e panorami mozzafiato che si susseguivano man mano che la quota saliva. Ma cosa c’è dietro questa grande avventura? Cosa lo ha spinto ad affrontare una sfida così impegnativa? In questa intervista, l’ing. Cavaliere condivide non solo i momenti più emozionanti del trekking, ma anche le riflessioni che questa esperienza gli ha lasciato, sia a livello personale che professionale.

Cosa ti ha spinto ad affrontare un viaggio così impegnativo in Nepal, puoi descriverci le emozioni provate durante il trekking verso il campo base dell’Everest?

La motivazione che mi ha spinto ad andare in Nepal, per quanto banale possa essere, è stata una e sola: la voglia di realizzare un sogno che avevo fin da bambino, vedere l’Everest! Non avendo però nessuna capacità alpinistica (che invece è  assolutamente necessaria per arrivare in cima, 8.848 metri di altitudine) ho optato per la salita che da Lukla porta al Campo Base dell’Everest (5.364 metri), unanimamente riconosciuta dagli appassionati come uno dei più bei trekking al mondo.

Cosa hai imparato da questa avventura, sia a livello personale che professionale?

Per quanto tecnicamente tutt’altro che impossibile la salita per me, che attualmente non sono nella migliore forma fisica né particolarmente allenato, è stata un continuo stimolo a superare le difficoltà (legate di volta in volta ai dislivelli quotidiani delle prime tappe o all’elevata altitudine degli ultimi giorni) che mi si sono presentate nell’affrontare questo percorso. Arrivare alla meta è stato anche per questo – forse – più bello e gratificante. La “lezione” che resta impressa è quella di credere sempre nell’obiettivo che si vuole raggiungere e non lasciarsi demoralizzare mai dagli imprevisti e dalle difficoltà che bisogna affrontare per raggiungerlo (e questo vale sia da un punto di vista personale che professionale).

Hai compiuto diversi viaggi nel mondo come in Cina o il cammino di Santiago: cosa ti affascina di questi viaggi, cerchi qualcosa di specifico, come avventura, spiritualità, o una pausa dalla routine?

In realtà non vado mai alla ricerca di qualcosa di specifico. I viaggi rappresentano sicuramente la mia più grande passione e viaggiare mi permette di soddisfare la mia curiosità verso tutto quanto di bello e vario (ed è più di quanto si possa immaginare) può offrire il mondo oltre che dare la possibilità di vedere dal vero, con i miei occhi, posti immaginati leggendo libri, guardando film o documentari.

Tornando indietro nel tempo, ci racconti il viaggio in Turchia con la tua famiglia a bordo di un’Alfa 75, come  giudichi  l’esperienza   di  affrontare  un viaggio  così  lungo  in  auto  rispetto   alle   modalità  di  viaggio moderne?

Eh, bella domanda questa 🙂 parliamo di un viaggio fatto una vita fa.  Ne serbo un magnifico ricordo (come, per la verità, serbo un magnifico ricordo di TUTTI  i viaggi fatti da ragazzino con la mia famiglia) anche perché è stato un viaggio on the road (e già solo per questo avventuroso), fatto in un’epoca dove – per un viaggio del genere – non potevi prenotare niente (o quasi) in anticipo e si viveva la magia del non avere contezza totale di quello che riuscivi a fare/vedere nell’arco della giornata o magari di dove avresti alloggiato la sera. Oggi, naturalmente, è tutto diverso, il mondo globalizzato è decisamente più “piccolo”e muoversi è molto più facile, comodo ed immediato. Il dazio – non banale –   che però si paga è la perdita del senso di “scoperta” e di “imprevedibile” che accompagnava quei viaggi in auto.

Hai intrapreso viaggi in contesti e culture molto diverse. Cosa rappresenta il viaggio per te?

Il viaggio è, per me, uscire dalla “comfort zone” e vivere esperienze “diverse” (non necessariamente “belle” in senso stretto, ma sempre estremamente gratificanti per quello che ti offrono e ti lasciano). Alla fine viaggiare mi permette di restare “vivo” e mi evita di restare imprigionato nella routine della quotidianità.

Se dovessi scegliere la prossima meta, quale sarebbe e perché?

Ora non so ancora dove andrò la prossima volta ed il ventaglio della scelta (per fortuna) è particolarmente ampio.  Ti posso però dire quale è stato il mio viaggio del cuore e dove tornerei sempre di corsa. Si tratta dell’India. Ci sono stato una sola volta ormai un bel po’di anni fa visitando il Rajhastan (area più importante dell’antico regno musulmano dei Moghul) e Varanasi (l’antica Benares, la città più sacra di tutte per gli Induisti) e ne sono restato rapito. E’ un posto assolutamente unico, diverso da tutti gli altri che ho visto dove è vero tutto ed il contrario di tutto, vi convivono povertà e ricchezza, allegria e disperazione. E’ un vero e proprio “ombelico del mondo” dove meraviglia e stupore sono all’ordine del giorno.

Cosa ti piacerebbe che i tuoi colleghi o i tuoi amici comprendessero di più del tuo legame con i viaggi?

Più che comprendere qualcosa del mio legame con i viaggi mi farebbe piacere comprendessero (e alcuni, per loro fortuna, già lo fanno) l’importanza di dedicare tempo ai propri interessi e a fare ciò che gli piace (qualsiasi cosa essa sia, senza curarsi troppo di quello che dicono le persone) e che non rinviassero sempre a domani (che poi è un domani che, a lungo andare, non arriva più) le scelte che, per quanto magari all’apparenza poco canoniche, una volta prese li rendono veramente felici. Alla fine, a mio avviso, è  il tempo dedicato a fare quello che ci gratifica, quello che dà qualità alla vita.

Grazie

di Giuseppe Di Giacomo