
La recente decisione degli Stati Uniti di abbandonare l’Accordo di Parigi ha scosso le fondamenta degli impegni internazionali volti a contrastare il cambiamento climatico. Un’incrinatura che potrebbe avere ripercussioni significative sui finanziamenti destinati ai paesi in via di sviluppo, cruciale momento di questa tumultuosa partita globale sul clima. Secondo uno studio pubblicato dal think tank Italian Climate Network (Icn), le implicazioni di tale ritiro si tradurrebbero in una drastica riduzione degli aiuti economici concordati durante la Cop29 di Baku.
Il patto stabilisce che, dal 2035, si raggiunga un obiettivo globale di 300 miliardi di dollari annui per la finanza climatica. Tuttavia, con il ritiro degli USA, l’ammontare scenderebbe notevolmente, mancando all’appello circa 184 miliardi di dollari previsti come contributo americano. Questi numeri non sono casuali ma emergono dalla formula delle “responsabilità comuni ma differenziate e rispettive capacità”, un principio cardine nelle negoziazioni Onu sul clima, che prende in considerazione le emissioni storiche e il reddito pro capite di ciascun paese.
La regola citata alloca agli USA una fetta considerevole del finanziamento globale, precisamente 184,2 miliardi di dollari all’anno. È interessante notare come, allo stesso modo, l’Italia sarebbe chiamata a contribuire con 5,2 miliardi di dollari annui. L’analisi si spinge ancora oltre, proiettando i numeri verso un traguardo più ambizioso, quello dei 1.300 miliardi di dollari all’anno, cifra stimata necessaria dai paesi in via di sviluppo. In questo scenario ipotetico, la quota degli Stati Uniti salirebbe a 798,1 miliardi di dollari annuali, mentre quella italiana toccherebbe i 22,6 miliardi.
Questi dati sollevano questioni urgenti sull’equità e la fattibilità degli obiettivi di finanziamento climatico senza un contributo significativo degli Stati Uniti. L’importanza di tali contributi non si limita ai meri aspetti economici, ma si estende all’influenza politica e strategica che gli Stati Uniti esercitano sul palcoscenico globale. La loro partecipazione ha il potere di incentivare o disincentivare altri paesi a seguire il loro esempio, sia in termini di impegno finanziario che di stringenti politiche ambientali.
L’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi non è solo un fatto isolato, ma un simbolo di un diverbio più ampio sulla direzione e l’intensità con cui il mondo intende affrontare la minaccia del riscaldamento globale. La sfida ora consiste nell’analizzare come la comunità internazionale, priva del sostegno finanziario e del leaderismo americano, riesca a mantenere vivo l’impegno verso una transizione ecologica globale, in un periodo in cui l’urgenza di agire è palpabile e indiscutibile.