Intitola così l’articolo di Mario Ajello pubblicato da Il Mattino sabato 21 dicembre all’indomani della sentenza di assoluzione del Ministro Salvini, avvenuta perché “il fatto non sussiste”. I fatti recentissimi riguardanti sentenze assolutorie in realtà sono tre, a partire dall’assoluzione dall’imputazione di corruzione per l’ex senatore Stefano Esposito dopo 7 anni di attesa che nel frattempo gli hanno rovinato l’esistenza ed inciso irrimediabilmente sulla sua attività politica e sugli affetti familiari. La seconda sentenza, in questo caso di proscioglimento, ha riguardato l’ex Presidente del Consiglio e segretario PD Matteo Renzi, oltre Maria Elena Boschi deputato ed altri coimputati per le vicende relative al caso Open, anche in questo caso dopo 5 anni di attacchi personali e nel tentativo di condizionare l’attività politica di Renzi e del suo partito Italia Viva. Ed infine la sentenza di proscioglimento di Salvini che rischiava 12 anni di carcere e che si è conclusa con la completa assoluzione. Queste sentenze dimostrano parecchie evidenze e conducono all’affermazione, giusta, del giornalista Ajello, che la via giudiziaria per regolare e sovvertire l’ordinamento giuridico è fallita. Il fallimento ha diverse componenti: sicuramente ha circoscritto allo stesso interno della magistratura italiana quella parte, purtroppo corposa, di giudici che invece di applicare le leggi fanno politica accusando quelli che ritengono i loro avversari e nemici, con l’intenzione di eliminarli dalla scena politica, operazione in tipico stile stalinista. Laddove, per fortuna, esistono e resistono magistrati che fanno il loro mestiere onestamente quali servitori dello Stato. Inoltre gli organi di stampa, in parte, ed i cittadini a larghissima maggioranza non sono più a fianco dei magistrati avendo finalmente capito che i giudici politicizzati esistono e come, e cercano di utilizzare la via giudiziaria per improbabili e illeciti sovvertimenti in politica. Cittadini che sono consapevoli che la “casta” è diventata sempre più una corporazione a difesa dei loro privilegi, impunità e assoluta mancanza di responsabilità per gli errori commessi. Impunità che in certi casi particolarmente drammatici non ha portato nemmeno alle scuse e ci riferiamo in particolare al caso del presentatore televisivo Enzo Tortora che ha pagato con la vita la tracotanza e gli errori di alcuni magistrati. Sempre prendendo a spunto l’articolo di Maio Ajello, concludiamo con una citazione di Leonardo Sciascia: “la crisi in cui versa l’amministrazione della giustizia deriva principalmente da questo: dall’incapacità del magistrato di assumere come dramma anche intimo e personale la sua azione, e invece la esteriorizza e ne dà una manifestazione che sfiora o addirittura attua l’arbitrio”.
di Domenico Salerno