Recenti dichiarazioni del Secretario Generale della CISL, Antonio Sbarra, e del presidente di Confindustria, Orsini, hanno acceso i riflettori su un tema di rilevante importanza nel panorama europeo: la programmata cessazione della produzione di veicoli con motori a benzina e diesel prevista per il 2035. Tale iniziativa, che mira a una rapida transizione verso una mobilità più sostenibile, solleva preoccupazioni significative riguardo le ripercussioni su interi settori industriali.
Le motivazioni dietro la spinta europea per un’eliminazione graduale dei motori endotermici sono chiare: la riduzione degli agenti inquinanti e l’emissione di gas serra in conformità agli obiettivi globali per il contrasto ai cambiamenti climatici. Tuttavia, con scadenze percepite come troppo stringenti, sorgono timori per la stabilità economica e occupazionale di filiere produttive ad alta intensità lavorativa, come quella automobilistica.
“Abbiamo scadenze molto ravvicinate che necessitano di essere riesaminate”, sottolinea Sbarra, facendo eco ai sentimenti espressi da Orsini. Propone quindi un rinvio della data limite del 2035 e invita ad anticipare i dibattiti previsti per il 2026. L’obiettivo è doppio: da un lato, proteggere le industrie e i lavori oggi esistenti; dall’altro, predisporre il terreno per un cambio di paradigma che sia equo e sostenibile per tutti gli stakeholder.
Altrettanto importanti sono le strategie che le multinazionali devono adottare di fronte a questo scenario. La transizione energetica, la decarbonizzazione e la sostenibilità sono imperativi che richiedono nuovi modelli di business e investimenti in innovazione. Stellantis, ad esempio, come gigante dell’auto che si trova al centro di queste considerazioni, è chiamata a formulare risposte efficaci che armonizzino gli interessi economici con quelli ecologici.
Al contempo, Sbarra insiste sulla necessità di “costruire una nuova visione di politica industriale, energetica ed ambientale”, che eviti una drastica deindustrializzazione. L’Europa e il governo nazionale sono quindi sollecitati a intervenire con politiche che facilitino una transizione “giusta”, offrendo sostegni adeguati, incentivi per la ricerca e lo sviluppo, e piani di formazione per i lavoratori.
La situazione solleva una questione fondamentale: è possibile perseguire obiettivi ambientali senza compromettere il tessuto industriale di nazioni fortemente dipendenti dall’automotive? La risposta a questa domanda è complessa e involve una serie di variabili economiche, tecnologiche e sociali. Il dialogo tra le parti interessate, inclusi i leader industrieli, i rappresentanti dei lavoratori, gli esperti di politica ambientale e i decisori politici, sarà essenziale per definire un percorso che sia tanto praticabile quanto sostenibile.
In conclusione, mentre l’orizzonte temporale del 2035 si avvicina, la discussione su come e quando eliminare i motori a combustione diventa sempre più urgente. Sarà imperativo bilanciare i mandati ambientali con le realtà economiche e industriali per garantire che la transizione verso un futuro più verde non lasci indietro nessuno. Nel navigare queste acque tumultuose, la collaborazione e l’innovazione saranno chiavi di volta per assicurare una trasformazione che benefici tutti gli attori coinvolti.