
La questione dell’inefficienza energetica degli edifici della Pubblica amministrazione in Italia non è solo un dato statistico, ma una reale criticità che incide profondamente sull’ambiente e sulle finanze statali. Più della metà di questi immobili, precisamente il 56%, risiede nelle fasce più basse di efficienza energetica, con una preoccupante concentrazione, il 24%, nella sola classe G. Questi numeri, oltre a delineare un quadro poco lusinghiero, sollecitano una riflessione immediata e azioni concrete.
L’inefficienza energetica di tali edifici comporta non soltanto un elevato consumo di risorse energetiche, ma implica anche significative emissioni di gas serra. Questi dati sono stati evidenziati da un’analisi dettagliata effettuata dalla Community Smart Building di The European House – Ambrosetti (Teha), un think tank privato di riconosciuta indipendenza e autorevolezza.
La Pubblica Amministrazione si trova ora di fronte a una sfida impellente: migliorare significativamente la performance energetica dei suoi edifici. In linea con la Direttiva dell’Unione Europea e il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), è stato fissato un obiettivo ambizioso che prevede l’efficientamento del 3% annuo del patrimonio edilizio pubblico dal 2025 al 2030, un traguardo che richiede un’accelerazione decisa rispetto agli anni passati, dove dopo il picco di riqualificazioni del 2018, si è assistito a un netto calo.
Le ragioni di questo rallentamento sono molteplici e comprendono la pesantezza burocratica, la frammentazione delle competenze tra troppi enti coinvolti, la mancanza di pianificazione strategica e una capacità limitata nello spendere le risorse disponibili. In questo contesto, emerge come fondamentale il ruolo che il Partenariato Pubblico-Privato (PPP) potrebbe giocare per superare tali ostacoli.
Tuttavia, in Italia, nonostante le potenzialità, l’utilizzo di questa modalità di intervento rimane marginale, con soli 4,5 miliardi di euro investiti tra il 1990 e il 2021. Questa cifra, comparata all’esigenza di investimenti, mostra una tendenza all’immobilismo che necessita di essere invertita.
Il settore edilizio rappresenta, come sottolineato dal think tank Teha, una leva fondamentale per la decarbonizzazione del paese, detenendo la responsabilità del 42% dei consumi energetici nazionali e del 18% delle emissioni di gas serra. Con un dispendio annuo che si aggira sui 50 miliardi di euro per i consumi termici ed elettrici negli edifici, appare chiara l’urgenza di agire prontamente.
Il cammino da percorrere è certamente arduo, sottoposto a vincoli di natura economica, tecnica e politica. Ma la transizione verso un’edilizia pubblica più efficiente da un punto di vista energetico non è soltanto una necessità infrastrutturale o economica, ma una scelta etica verso le future generazioni. La collaborazione pubblico-privata, se incentivata e regolata intelligentemente, può rappresentare quella chiave di volta che permetterà all’Italia non solo di rispettare gli impegni internazionali in termini di riduzione delle emissioni, ma anche di esempio virtuoso di sostenibilità ambientale.
La strada è tracciata, le soluzioni esistono. È il momento dell’azione concreta, in cui ogni ritardo non è solo un’opportunità persa, ma un costo aggiuntivo che gravita sulle spalle dei cittadini e sull’ambiente.