
L’anno 2024 si è concluso lasciandosi alle spalle una scia dolorosa e allarmante nel settore del lavoro in Italia. Dati raccolti dal Centro Studi Cub, attraverso analisi delle statistiche fornite dall’INAIL e dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro e Ambiente Vega Engineering, rivelano cifre sconcertanti: 1482 lavoratori hanno perso la vita a causa di incidenti sul lavoro, con un incremento del 3,3% rispetto al precedente anno. Ricordiamo che nel 2023 le vittime furono 1446.
Questo incremento non solo sottolinea un problema persistente ma espone anche una realtà in cui la frequenza degli incidenti mortali sembra intensificarsi, piuttosto che diminuire. Analizzando i dati nel dettaglio, emergono particolari ancora più inquietanti: i decessi direttamente sul posto di lavoro hanno toccato quota 1055, mentre altri 427 sono avvenuti in itinere, cioè durante il tragitto verso o dal lavoro.
La mortalità ha colpito maggiormente la fascia d’età compresa tra 55 e 64 anni, mostrando una spiccata vulnerabilità in segmenti lavorativi più anziani della forza lavoro. Inoltre, si nota una drammatica disparità nei rischi corsi dai lavoratori stranieri rispetto ai loro colleghi italiani, con un tasso di mortalità che supera più del doppio.
Per regione, la Lombardia si conferma tristemente in cima alla lista con 121 decessi registrati nei soli primi undici mesi dell’anno. Seguono Campania ed Emilia-Romagna con rispettivamente 73 e 68 fatalità. Le cifre da sole, tuttavia, non rendono giustizia al dolore e alla perdita subiti dalle famiglie e dalle comunità colpite.
Dalle parole di Walter Montagnoli, membro della segreteria nazionale Cub, traspare un profondo senso di frustrazione e urgenza: i continui incidenti sul lavoro non sono visti come eventi isolati e imprevedibili, ma come risultato di pratiche lavorative intrinsecamente pericolose, exacerbate da politiche aziendali che tendono a minimizzare i costi a scapito della sicurezza. Montagnoli denuncia una dinamica di mercato del lavoro che favorisce l’uso estensivo del subappalto e del contratto a termine, spesso a discapito di un’adeguata formazione e misure di sicurezza per i lavoratori.
La chiamata a un intervento governativo è chiara e ineludibile. Misurazioni come la “patente a punti” per le imprese, pur avendo ricevuto una vasta adesione, si sono rivelate insufficienti. È necessario un cambiamento legislativo radicale che affronti queste problematiche strutturali per evitare che questa tendenza mortale continui indisturbata.
Ora più che mai, è imperativo che il governo e le istituzioni competenti intraprendano azioni concrete e efficaci per riformare un sistema che attualmente sembra condannare molti lavoratori a un destino tragico, intervenendo direttamente sulle cause profonde che fomentano questa tragica “contabilità”.