
Il monologo di Roberto Benigni, trasmesso su Rai1 recentemente, spinge ad alcune riflessioni. La pacatezza e la quasi tenerezza con la quale Benigni ha espresso le sue idee politiche sull’europeismo sono apprezzabili proprio perché in controtendenza rispetto all’aggressività e alle intemperanze che invece caratterizzano i dibattiti televisivi laddove è difficile anche comprendere le ragioni degli intervenuti che fanno a gara a coprire la voce degli altri partecipanti con il risultato di arrivare al caos totale con grande gioia del giornalista(?) curatore della trasmissione che vede aumentare l’audience in virtù della belligeranza e del cattivo esempio. Fiumi di odio tra i duellanti; odio e desiderio di annientamento in puro stile Stalin-fascismo. D’altronde l’odio per l’interlocutore è diventato il leitmotiv, motivo conduttore di tutti i comportamenti sociali, purtroppo anche tra i governanti e le guerre in atto ne sono la conferma. L’obbiettivo è dato dall’annientamento dell’interlocutore-avversario. Su scale minori analizziamo ciò che accade negli stadi dove si svolgono eventi calcistici. Cartelloni e cori razzisti e xenofobi dove il meridione d’Italia ed i meridionali sono presi di mira con violenza e crudeltà. Il fenomeno vede protagonisti da soccombenti, soprattutto i napoletani che nel calcio da qualche anno sono riusciti a combattere il predominio delle squadre dei potentati nordisti e pertanto risultano ancora più invisi. Ed è con dolore che un cittadino napoletano si vede e si sente discriminato da coloro che non molti anni addietro erano noti per le provocatorie affissioni tipo non si fitta a meridionale, oppure non si fitta a napoletani. Soprattutto trovare nei giovanissimi queste attestazioni di odio territoriale colpiscono nel profondo e portano a considerazioni di carattere generale sulla malignità dell’essere umano e quindi una visione della vita estremamente doloroso e guerresca. Sentirsi colpiti perché nati in una certa città è veramente una ferita insanabile, e certamente il problema non è tra i tifosi del calcio, il problema è generale e riguarda tutte le azioni e le attività collettive. L’odio pesa sulle coscienze e porta altro odio. Sono poche le aree non contaminate e certamente le affermazioni di Papa Francesco, almeno, parlano sempre e soprattutto di solidarietà: troppo poco, rispetto a tutto il resto. La cultura dell’odio nasce, ed è terribile doverlo ammettere, nelle famiglie e a scuola, e viene assorbita dai piccoli e dai giovanissimi che si ritrovano a subire modelli di comportamento che finiscono per diventare la “normalità” e oltre i quali è difficilissimo andare pena l’emarginazione fonte oltretutto di bullismo. E’ triste dover ammettere e pensare che non ci sono antidoti attualmente per combattere l’odio nei comportamenti sociali.
di Domenico Salerno
