
Durante un recente incontro con gli industriali della Lombardia, Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, ha lanciato un appello accorato alle istituzioni europee, chiedendo una decisa riduzione nel numero delle normative che regolamentano il settore industriale. Secondo Orsini, l’incessante proliferare di nuove regole non solo complica la vita delle imprese, ma mina direttamente la loro capacità di competere su scala globale.
Orsini ha evidenziato un dato allarmante: negli ultimi cinque anni, l’Unione Europea ha introdotto ben 13.500 nuove norme, un numero sorprendentemente alto se confrontato con le 3.000 promulgate dagli Stati Uniti nel medesimo periodo. Questa discrepanza non solo sottolinea un diverso approccio alla regolamentazione tra le due potenze economiche, ma pone l’Europa in una posizione di potenziale svantaggio competitivo.
L’organico che supporta l’attività legislativa dell’Unione è anch’esso oggetto di critica da parte del presidente di Confindustria. Con un numero complessivo di 32.000 persone impiegate tra la Commissione Europea e il Parlamento Europeo, a cui si aggiungono 11.000 collaboratori, Orsini invoca un immediato stop alla creazione di ulteriori normative, proponendo piuttosto di impiegare queste risorse nel semplificare il quadro regolatorio esistente.
Il leader degli industriali italiani ha poi articolato una riflessione più ampia sulla natura e le implicazioni dell’iper-regolamentazione. In un mondo sempre più orientato verso l’agilità e la rapidità decisionale, la sovrabbondanza di norme si traduce in un carico oneroso che rallenta l’innovazione e deterge l’investimento in tecnologie e pratiche sostenibili.
La questione centrale sollevata da Orsini risiede nel fardello che la regolamentazione impone soprattutto alle piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale dell’economia europea ma che spesso non dispongono delle risorse per navigare efficacemente un mare di direttive complesse e talvolta contraddittorie.
Questa situazione solleva dubbi non solo sulla praticità delle politiche attuali, ma anche sulla loro effettiva utilità in termini di benefici economici e sociali. L’invito di Orsini è quindi a un cambio di paradigma: meno burocrazia per più competitività, un principio che sembra guadagnare consenso non solo tra gli industriali, ma anche in alcuni settori politici e accademici che sottolineano l’importanza di un approccio più misurato e strategicamente mirato nella regolamentazione.
In conclusione, il discorso di Orsini si inserisce in un più ampio dibattito su come l’Europa possa riconfigurare le proprie politiche industriali per favorire crescita economica e sviluppo sostenibile. Rivedere il sistema regolatorio per renderlo più snello e meno oppressivo potrebbe non solo amplificare la competitività delle imprese europee, ma anche stimolare l’innovazione e l’adozione di nuove tecnologie. La sfida è complessa, ma il dialogo avviato da figure come Orsini potrebbe segnare un passo decisivo verso un’Europa più dinamica e meno ingessata da vecchie abitudini burocratiche.