
In un recente intervento su X, Claudio Borghi, influente senatore della Lega, ha aperto un vero e proprio vaso di Pandora diplomatico e sanitario con un’affermazione sorprendente ma coerente con lo spirito spesso provocatorio del partito: “USA fuori dall’OMS. Dobbiamo farlo anche noi subito.” Questo messaggio arriva in un periodo delicato per le relazioni internazionali e per la gestione della salute pubblica a livello globale, evidenziando una netta presa di posizione che segue quella, altrettanto clamorosa, del presidente degli Stati Uniti.
Analizzando le implicazioni di una simile dichiarazione, è primario considerare il contesto in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) opera. Fondata nel 1948 come agenzia specializzata delle Nazioni Unite, l’OMS ha il mandato di dirigere e coordinare gli interventi internazionali in ambito sanitario. Le critiche all’OMS, come quelle espresse da Borghi, sollevano questioni relativa alla sua efficacia e neutralità, specialmente in situazioni di emergenza globale come la pandemia di COVID-19.
La decisione degli Stati Uniti di recedere dall’OMS, citata esplicitamente da Borghi come modello per l’Italia, non è stata priva di controversie. Detrattori della mossa americana sostengono che questa potrebbe indebolire gli sforzi internazionali nel controllo delle pandemie, nella standardizzazione delle pratiche sanitarie e nella distribuzione equa di risorse mediche essenziali. A livello politico, tale azione è vista come un tentativo di promuovere un nazionalismo sanitario, il che potrebbe incrementare isolazionismo e unilateralismo in tempi di crescente interdipendenza globale.
Dal punto di vista di Borghi e di una frangia significativa del suo partito, tuttavia, l’uscita dall’OMS è interpretata come un gesto di salvaguardia della sovranità nazionale, una riaffermazione del diritto di ogni Stato a prendere decisioni autonome in materia di politiche sanitarie senza l’ingerenza di enti sovranazionali che, percepiti come burocratici e poco trasparenti, potrebbero non avere le priorità nazionali a cuore.
È essenziale, però, procedere con una valutazione critica delle potenziali ripercussioni di una simile uscita. La salute pubblica è un bene collettivo che trascende i confini nazionali; malattie infettive, problemi ambientali e crisi sanitarie richiedono una risposta coordinata e condivisa. L’abbandono dell’OMS potrebbe dunque segnare un passo indietro nell’efficacia della gestione della salute pubblica, tanto sul fronte preventivo quanto su quello curativo.
In conclusione, l’affermazione di Claudio Borghi solleva interrogativi profondi riguardo al futuro della cooperazione internazionale in campo sanitario. Mentre alcune criticità dell’OMS sono indiscutibilmente presenti e meritano un dibattito aperto e costruttivo, una decisione impulsiva di ritirarsi dall’organizzazione potrebbe avere conseguenze durature sull’efficacia con cui l’Italia e il mondo intero affronteranno le sfide sanitarie globali del futuro. Dialogo e riforme potrebbero rappresentare una strategia più equilibrata e produttiva per migliorare l’organismo internazionale piuttosto che un abbandono totale, che rischia di isolare ulteriormente il paese nell’arena globale.