Da spinosa questione finanziaria a fonte di entrate per lo Stato italiano. Questo è l’attuale scenario del rapporto tra il Tesoro guidato da Giancarlo Giorgetti e il Monte dei Paschi di Siena (Mps), la storica istituzione bancaria che negli ultimi anni ha fatto fronte a numerose difficoltà. L’ultimo fatto significativo in cronologia è la vendita di grossi pacchetti azionari che hanno fruttato considerevoli somme: a novembre del precedente anno si sono concretizzati introiti per 920 milioni di euro e, più recentemente, un’ulteriore vendita di 650 milioni.
Queste operazioni segnano un punto di svolta rispetto all’investimento di 1,6 miliardi effettuato dallo Stato nell’aumento di capitale del 2022, che fu sostenuto con convinzione dall’allora direttore generale del Mef, Alessandro Rivera, e dall’amministratore delegato Luigi Lovaglio. Nonostante non si sia ancora raggiunto il rientro dell’investimento complessivo di 5,4 miliardi realizzato nel 2017 per scongiurare il fallimento della banca senese, l’operazione viene vista positivamente per le sue ricadute sulle casse pubbliche.
La vendita di questi pacchetti azionari ha portato a ridurre del 12,5% la quota del Mef in Mps, lasciando allo Stato una partecipazione residua del 26,7%, la cui valutazione di mercato corrente si aggira intorno a 1,4 miliardi di euro. Tuttavia, l’obiettivo primario rimane quello di ridurre il debito pubblico di 20 miliardi attraverso la strategia delle privatizzazioni.
Con la quota statale dimezzata in quattro mesi, gli investitori internazionali hanno ora riacceso il loro interesse verso Mps. Questa inversione di tendenza è evidenziata dalla tripla domanda rispetto all’offerta registrata nell’ultima vendita, con una ripartizione geografica che vede il 51% delle richieste provenire dalla Gran Bretagna, il 34% dagli Stati Uniti e il 9% dall’Italia. Tra gli acquirenti, il 70% è rappresentato da fondi hedge e il 30% da fondi ‘long only’.
Attualmente, il Tesoro si trova legato da un vincolo di ‘lockup’ di 90 giorni durante i quali non può vendere ulteriori azioni. Al termine di questo periodo, si ripresenterà il dilema se proseguire la vendita di azioni o attendere un’offerta per una fusione. Il Governo ha manifestato la preferenza per un’operazione industriale, finalizzata alla creazione di un terzo polo bancario nazionale, ma le banche potenzialmente interessate come Banco Bpm e Bper hanno finora negato ogni interesse verso Mps. Le intenzioni di Unicredit, leader in potenziali risorse, rimangono invece oggetto di speculazione e voci su possibili riavvicinamenti.
Nel caso di un matrimonio bancario, gli analisti prevedono che la partecipazione dello Stato sarebbe meno ingombrante: il Mef si ridurrebbe al 2% in una fusione con Unicredit, al 12% con Bper e sotto il 10% con Banco Bpm. Se l’intenzione fosse di vendere ulteriormente le proprie quote in Mps, il Tesoro dovrebbe rinunciare al controllo di una partecipazione maggiore al 25%, soglia che richiederebbe un’offerta pubblica di acquisto secondo la normativa vigente.
La situazione rimane fluida e le mosse del Tesoro saranno probabilmente calibrate sia sugli sviluppi interni che sul quadro europeo. Il miglioramento nel rilancio di Mps e i progressi nello smobilizzo delle azioni potrebbero aprire la strada a una proroga dall’Unione Europea oltre il termine del 2024 per l’uscita completa dal capitale dell’istituto, opzione su cui sembra pendere il favor del governo che, secondo Giorgetti, è vicino al rispetto degli impegni presi con Bruxelles.