
Nel corso del recente Business Leaders Summit tenutosi a Milano, Roberto Vecchioni ha lasciato un’impronta significativa con il suo intervento, sollevando questioni fondamentali sul significato e sull’indirizzo del progresso nella nostra società. La sua analisi ha posto l’accento sulla distinzione cruciale tra “sviluppo” e “progresso”, due termini spesso usati come sinonimi, ma che invecono su realtà molto diverse.
Il noto cantautore ha esordito con una critica incisiva al modello attuale di sviluppo basato sui tre verbi: comprare, vendere, consumare. Tale modello, secondo Vecchioni, non solo è riduttivo ma anche pericoloso, in quanto ignora l’esigenza di integrazione e partecipazione universale. “Ovunque si vada oggi – ha osservato – ci troviamo assillati dalla necessità di consumare, di spremere fino all’ultimo centesimo, ma non tutti possono permetterselo. E qui risiede il grave divario tra sviluppo e progresso.”
Il concetto di svilupppo, ha spiegato Vecchioni, implica un’azione di costruzione e innovazione che mira a facilitare la vita quotidiana e a generare una superficiale sensazione di serenità. Il progresso, d’altra parte, dovrebbe includere una visione più ampia e collettiva, dove il miglioramento di uno è il miglioramento di tutti. Eppure, tanto può svilupparsi rapidamente, quanto il vero progresso stenta a emergere in una società segnata da profonde disparità.
Queste riflessioni hanno aperto una finestra sulle problematiche di fondo che affliggono molte società moderne, compresa quella italiana, descritta da Vecchioni come ‘disastrata’. Secondo l’artista, la perpetuazione delle disuguaglianze è un sintomo di una nazione incompiuta, dove alcuni avanzano mentre altri rimangono indietro. Le disuguaglianze – siano esse economiche, politiche o culturali – sono il risultato di un sistema che valorizza l’accumulo anziché la distribuzione equa delle risorse e delle opportunità.
Al summit, Vecchioni ha lanciato un appello per una riformulazione dei pilastri su cui si costruisce la società. Questa non può definirsi avanzata se non è inclusiva, se i benefici di alcune innovazioni rimangono confinati in bolle elite che non tengono conto delle esigenze e delle potenzialità di tutti. È necessario, quindi, ridisegnare il nostro concetto di progresso, orientandolo verso una visione più inclusiva e solidale.
Per concludere, l’analisi di Vecchoni potrebbe sembrare una critica aspra, ma è in realtà un invito a riflettere su come potremmo reimpostare le nostre priorità e riconfigurare il nostro approccio verso un progresso che sia effettivamente sinonomo di benessere collettivo. Riflettere su questi temi è cruciale non solo per i leader aziendali a cui l’intervento era indirizzato, ma per chiunque sia interessato a costruire un futuro in cui il benessere sia realmente accessibile a tutti. Nel mondo accelerato del consumo e della vendita, forse è tempo di aggiungere nuovi verbi alla nostra vita economica e sociale, verbi che parlino di condividere, sostenere e unificare.