In una recente visita ufficiale alla casa circondariale “Ernesto Mari” di Trieste, il Garante dei diritti della persona del Friuli Venezia Giulia, Enrico Sbriglia, insieme a figure di spicco quali Piero Mauro Zanin e Anna Malisani, ha messo in luce la cruciale necessità di riformare e potenziare il servizio sanitario all’interno dell’istituzione penitenziaria. La visita, dettagliata in una nota del Acon, ha avuto l’obiettivo di valutare le condizioni e le dinamiche correnti all’interno del carcere, che ancora porta i segni di una violenta protesta avvenuta in luglio, culminata nella distruzione significativa di spazi e servizi, infermeria inclusa, e nella tragica perdita di un detenuto.
I lavori di riparazione e riorganizzazione spaziale iniziati in seguito agli eventi hanno rappresentato un primo passo verso un miglioramento, ma è durante le discussioni con i responsabili dei vari servizi che è emersa chiaramente la necessità di un approccio più moderno e funzionale alla gestione della salute in carcere. Franca Masala, responsabile del servizio sanitario penitenziario, ha sollevato questioni preoccupanti riguardanti l’inadeguatezza del personale medico e infermieristico, un fenomeno aggravato dalla scarsa attrattiva delle posizioni lavorative in tale contesto, spesso viste come demotivanti in confronto alle opportunità nel settore sanitario privato.
Le raccomandazioni del Garante hanno enfatizzato l’importanza di un modello organizzativo rivoluzionario, che includa l’uso avanzato della telemedicina, una proposta che potrebbe non solo migliorare la gestione quotidiana ma anche attrarre professionisti del settore sanitario con un interesse per la tecnologia e l’innovazione. Oltre alla modernizzazione, un punto focale delle preoccupazioni è stata la gestione delle risorse umane, con una particolare attenzione sulla mentalità con cui si affronta il reclutamento e il mantenimento dei professionisti all’interno dei servizi sanitari penitenziari.
Altro tema allarmante emerso è la carenza di psicologi, con una prospettiva di riduzione ulteriore delle già scarse ore e risorse dedicate al sostegno psicologico dei detenuti, un segmento che richiede un’urgente attenzione sia in termini di risorse che di strategie di intervento. La spiritualità e il diritto dei detenuti di praticare la propria fede religiosa, nel rispetto di quella altrui, sono stati anch’essi oggetto di discussione, sottolineando la necessità di un approccio olistico che consideri la salute mentale e spirituale parte integrante del benessere in carcere.
Questa visita ha quindi messo in evidenza non solo le sfide immediate che il carcere di Trieste e simili istituzioni affrontano, ma ha anche aperto un dialogo su come potrebbero essere implementate soluzioni sostenibili e innovative. La risposta dell’assessore alla Salute, Riccardo Riccardi, sarà cruciale per stabilire il futuro di queste iniziative e per assicurare che il carcere possa diventare un luogo di riforma e recupero, e non solo di pena. In ultima analisi, il percorso per un sistema carcerario più umano e funzionale passa attraverso il riconoscimento e l’investimento nelle sue funzioni sanitarie, uno dei pilastri fondamentali per la riabilitazione e la reintegrazione sociale dei detenuti.