 
  Nel panorama europeo del lavoro, l’Italia rappresenta un caso di particolare interesse – e preoccupazione – per quanto riguarda il tasso di occupazione femminile. I numeri parlano chiaro: il Belpaese segna la quota più bassa tra gli Stati membri dell’Unione Europea, staccato di circa 14 punti percentuali dalla media UE, attestandosi al 55% contro il 69,3%. Questo dato emerge da un recente studio del Servizio studi della Camera che dipinge un ritratto inquietante della condizione lavorativa delle donne italiane.
Il divario di genere si manifesta con forza nel confronto con la sfera maschile: circa 9,5 milioni di donne occupate contro i 13 milioni di colleghi uomini. Ma vi è un dato ancora più sconcertante: una donna su cinque sceglie di abbandonare il mondo del lavoro dopo essere divenuta madre. In un’epoca dove la parità di genere sembra essere un obiettivo globale, questi numeri rivelano difficoltà sostanziali nel conciliare gli impegni familiari con quelle professionali.
Le motivazioni dietro questa scelta sono complesse ma illuminanti: oltre la metà delle donne (52%) puntano al dito esigenze di conciliazione vita-lavoro, mentre il 19% lo attribuisce a ragioni economiche. Pare che l’istruzione superiore funga da scudo in questi casi, riducendo il divario occupazionale tra madri e non madri.
Di grande rilevanza è anche il divario retributivo tra i sessi. L’Italia mostra un minor gap nell’orario lordo (5% contro la media europea del 13%), ma allo stesso tempo espone un titanico scarto annuale: il 43% contro il 36,2% europeo. Tradotto in cifre, ciò significa una media annuale di 26.227 euro per gli uomini contro i 18.305 euro per le donne. Cifre che parlano di un’iniquità non trascurabile.
Inoltre, le donne tendono a gravitare in settori meno remunerativi o strategici, con un alto tasso di precarietà e part-time – quasi il 49% rispetto al 26,2% degli uomini. La possibilità di scalare le gerarchie aziendali o di intraprendere percorsi di carriera ambiziosi si riduce notevolmente in queste condizioni.
Non meno importante è il ruolo dei servizi di assistenza all’infanzia, utili a supportare la presenza femminile nel mondo del lavoro. Se da un lato vi è stato un incremento di posti in nidi post-pandemia, dall’altro la domanda resta in gran parte insoddisfatta, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia. Si tratta di un’area dove le famiglie con minori risorse economiche risultano essere le più penalizzate, sia per i costi elevati delle rette sia per la scarsità di strutture adeguate.
In questo scenario, l’Italia è chiamata a una riflessione profonda e a un’azione decisiva. Ridurre il divario di genere nel mondo del lavoro non è solo una questione di equità, ma anche di crescita economica e di progresso sociale. Il cammino verso la parità occupazionale è intriso di ostacoli, ma si tratta di una sfida che il Paese non può permettersi di perdere.

 
  
  
  
           
           
          