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Intervenire sul valore dei beni esposti per la mitigazione del rischio dei Campi Flegrei.

In CAMPANIA, INSERTI ATTUALITA', NAPOLI
Settembre 13, 2024
E’ importante poi curare la comunicazione con i cittadini e gli altri soggetti evitando così i costi della non scienza.

Tutti auspichiamo che la crisi bradisismica in atto nei Campi Flegrei con livello di attenzione Giallo termini al pìù presto, ma bisogna essere consapevoli che l’attività di mitigazione del rischio non può e non deve fermarsi, perché il vulcanismo dell’area sarà presente ancora per un tempo la cui durata non è prevedibile. E’ necessario, quindi, continuare a elaborare e attuare un piano d’azione per la riduzione del rischio. Un piano da sviluppare soprattutto nello stato di quiescenza con livello di attenzione Verde in cui comunque sono presenti segnali di attività vulcanica. Si sa che da sempre le aree vulcaniche, grazie alla loro fertilità e amenità, hanno attratto insediamenti umani che ne hanno accettato il rischio. Rischio che per i tempi lunghi con cui ciclicamente si manifestano i relativi eventi pericolosi (l’ultima crisi bradisismica risale al 1982 e l’ultima eruzione al 1538) porta le persone a non percepire la sua gravità e, quindi, a non sviluppare un’adeguata cultura del rischio affidandosi ad un certo fatalismo. Ora, fermo restando il diritto di chi oggi risiede nell’area di pericolo dei Campi Flegrei a continuare a rimanerci e a perseguire uno sviluppo socioeconomico, per procedere ad una riduzione del rischio è importante tener conto anche di queste problematiche mettendo in campo azioni che alla fine necessitano di un coerente modello di sviluppo del territorio e stile di vita delle persone. Quando si parla di rischio si intende la probabilità che un certo evento, come un terremoto o un’eruzione vulcanica, possa causare effetti dannosi sulla popolazione e le cose che sono all’interno di una certa area. Il suo valore è espresso dal prodotto di tre fattori: la pericolosità dell’evento (P), la vulnerabilità dei beni esposti al pericolo (V) e il valore dei beni esposti al pericolo(VE).  Nel caso dei Campi Flegrei la pericolosità è rappresentata da fenomeni naturali di tipo vulcanico per il quali allo stato non ci sono margini di intervento di mitigazione, ma lo studio continua e grazie al sistema di monitoraggio di parametri geofisici e geochimici lo stato delle attività vulcaniche è sotto controllo, anche se per i terremoti e le eruzioni resta l’impossibilità di prevedere con esattezza il loro verificarsi. C’è, quindi, solo da augurarsi che la scienza in materia, con l’aiuto delle nuove tecnologie compresa l’Intelligenza artificiale, faccia ulteriori progressi che aiutino a comprendere meglio il fenomeno in modo da fare migliori previsioni per una più efficace mitigazione. Per la vulnerabilità dei beni esposti, relativamente alla minaccia dei terremoti bisogna procedere a mettere in sicurezza gli edifici pubblici e privati e le infrastrutture. Certamente le azioni previste dal DL 140/2023 e DL 91/2024 hanno la loro validità, ma va detto che oltre alle ulteriori risorse economiche pubbliche e private ancora da destinare, si tratta di interventi che richiedono un impegno prolungato nel tempo da parte di tutti i soggetti coinvolti, cittadini inclusi. Pensando agli edifici privati servirebbe introdurre l’obbligo del Fascicolo del Fabbricato digitale da aggiornare periodicamente nel tempo. Fascicolo che utilizzerà le informazioni che si stanno già raccogliendo in tema di vulnerabilità e che contribuirà allo sviluppo della cultura della manutenzione. Servirebbe poi aumentare gli incentivi per la sottoscrizione di una specifica polizza assicurativa, che la legge di bilancio n.213/2023 ha reso obbligatoria solo per le imprese. Per la riduzione del valore dei beni esposti, sinora oltre alle norme urbanistiche per il governo del territorio, inclusa la recente legge regionale LR n.5 29/4/2024, che affrontano il problema di ridurre il carico urbanistico, il consumo del suolo e l’incremento della sicurezza del costruito, non si è fatto molto. Il motivo principale è che esse incidendo sullo stile di vita delle persone e sui modelli di sviluppo del territorio, richiedono una diffusa cultura del rischio e il superamento di un atavico fatalismo. Oggi, grazie anche all’ICT(Information and Communication Technologies) è possibile intervenire sul valore esposto implementando politiche di dematerializzazione del territorio con l’obiettivo di ridurre il danno legato ai beni e alle attività socio economiche, consentendo il massimo svolgimento di quest’ultime sia durante la crisi e soprattutto durante la fase post-crisi di ripristino (ritorno alla normalità, secondo quanto indicato dall’ufficio UNDRR dell’ONU per la riduzione dei rischio di disastri). Fatto questo di notevole importanza per minimizzare il disagio e i costi nel caso in cui durante una crisi si decide di innalzare il livello di allerta a preallarme o allarme senza che poi, vista la natura probabilistica delle previsioni, il pericolo si manifesti nell’intensità prevista, come a volte succede per l’allerta meteo. Venendo al contributo che le tecnologie ICT possono dare, si tratta di spingere sulla costruzione di una Società 5.0 dove la trasformazione digitale, la sostenibilità e l’innovazione siano le leve fondamentali. In particolare si dovrebbe: promuovere l’insediamento di industrie e di centri immateriali come Software House, Servizi online, Centri di ricerche… che tra l’altro consentono lo smartworking; avere in Cloud tutti gli archivi (banche dati) di enti e aziende pubbliche e private; spostare il più possibile al di fuori dalla zona rossa e gialla quelle attività socioconomiche ad alta intensità materiale; far sì che i negozi abbiano in zona solo una sorta di “vetrina fisica” (spazio di esposizione e vendita) con poca merce e depositi fuori dalla zona rossa e gialla, con possibilità di acquisto online e consegna domicilio (attività di e-commerce di prossimità supportata da un hub logistico territoriale). In questo modo molti negozianti del posto potrebbero continuare a vendere i loro prodotti ai clienti locali anche durante i periodi della loro permanenza fuori dalla propria residenza conseguente ad un’eventuale evacuazione. Tra l’altro un tale approccio sarebbe in linea con la valorizzazione delle eccellenze locali secondo il modello della “globalizzazione di nicchia”. Benefici di una continuità operativa potrebbero venire a vari sistemi funzionali della società come per esempio quello scolastico, che con la teledidattica continuerebbe ad operare pur essendo gli insegnanti e gli alunni di una classe sparsi tra più comuni. Ovviamente la dematerializzazione passa anche attraverso uno stile di vita delle persone che riduce il possesso individuale dei beni materiali, come per esempio il numero di auto per abitante. Un’altra azione possibile non legata alla dematerializzazione potrebbe essere quella di incentivare, con dei vincoli sulla destinazione d’uso e la proprietà, l’interesse dei residenti della zona rossa e gialla all’acquisto di un immobile al di fuori di tali aree come seconde case da utilizzare pure durante le fasi di crisi e di pieno ripristino post-crisi. Un’azione del genere potrebbe, per esempio, puntare pure alla pianificazione di un nuovo sviluppo di turismo sostenibile di aree regionali come il litorale domizio del casertano in linea con il Masterplan del Litorale Domizio-Flegreo della Regione Campania.   Come si evince intervenire sul valore dei beni esposti VE pur non essendo risolutivo del problema può contribuire alla mitigazione della minaccia e a una crescita della cultura del rischio, che deve includere azioni di formazione e informazione. In generale si deve proseguire nello sviluppo di un sistema di protezione civile che faccia largo uso dell’ICT, realizzando piani di protezione dinamici e impiegando modelli digitali. E’ importante poi curare la comunicazione con i cittadini e gli altri soggetti evitando così i costi della non scienza. E per questo andrebbe sviluppata un’APP della Protezione Civile da utilizzare durante tutte le fasi della gestione del rischio.

di Giovanni Manco