In una recente manovra protezionistica, la Turchia ha annunciato l’imposizione di dazi aggiuntivi del 40% sui veicoli importati dalla Cina. La decisione, pubblicata ufficialmente sulla Gazzetta Ufficiale e rivelata da Bloomberg, emerge come un tentativo deciso di frenare le importazioni in un periodo di intensa inflazione economica. Con un’imposta fissa di almeno 7.000 dollari per veicolo, il governo turco mira a rafforzare il settore automobilistico nazionale, in particolare quello dei veicoli elettrici.
Questo incremento dei dazi fa seguito alla precedente politica del 2023 che vedeva aumentati i dazi sui soli veicoli elettrici cinesi. Il governo, guidato dal desiderio di sostenere l’innovazione e la produzione interna, vede in questi dazi un doppio vantaggio: proteggere l’industria locale emergente e contemporaneamente alleviare il deficit delle partite correnti, uno degli squilibri macroeconomici più pressanti.
La situazione inflazionistica in Turchia è critica: a maggio, l’inflazione ha raggiunto un picco del 75,5%, posizionando l’economia in uno stato di necessità urgente di interventi efficaci. Nel tentativo di stabilizzare la valuta nazionale e rilanciare l’economia, il governo turco ha optato per una politica monetaria restrittiva, rafforzata da una posizione fiscale più solida.
Tale approccio mira non solo a limitare il consumo di prodotti stranieri ma anche a incentivare gli investimenti interni, specialmente in settori ad alta tecnologia come quello delle auto elettriche. La Turchia sta cercando di posizionarsi come un leader nella produzione di veicoli elettrici nella regione, riducendo la sua dipendenza dalle importazioni di tecnologia e componentistica estera.
Queste misure protezioniste stimolano dibattiti intensi. Da un lato, i sostenitori argomentano che in un periodo così critico per l’economia nazionale, proteggere la produzione interna è essenziale non solo per salvaguardare ma anche per stimolare il mercato del lavoro locale. D’altra parte, i critici sostengono che tali politiche possano isolare ulteriormente l’economia turca, rendendola meno competitiva a livello internazionale.
Inoltre, queste manovre di politica economica potrebbero portare a tensioni commerciali con la Cina, una delle maggiori potenze economiche mondiali. Nel contesto globale attuale, dove le dinamiche commerciali sono in continua evoluzione, decisioni di questo tipo possono avere ripercussioni non solo a livello bilaterale ma anche internazionale.
È chiaro che la Turchia, con queste scelte audaci, sta cercando di navigare attraverso una delle sue più gravi crisi economiche degli ultimi decenni. Mentre il risultato di tali politiche rimarrà incerto fino a quando non verranno misurati gli effetti a lungo termine, questa è indubbiamente una dimostrazione del tentativo di un paese di riaffermare la propria sovranità economica in un periodo di incertezze finanziarie globali. Gli occhi del mondo saranno quindi puntati sulla Turchia nei prossimi mesi, osservando come le nuove tariffe influenzeranno l’economia interna e le relazioni estere.